domenica 28 ottobre 2007

Il nostro preside su ZENIT

Cliccando qui si può visualizzare un'interessante intervista concessa dal preside dell'Istituto Patristico Augustinianum all'agenzia ZENIT. Sottoscrivo tutto quanto Padre Robert afferma, e non certo per partigianeria o adulazione. Basti pensare all'ultima risposta (che riporto qui appresso), così vicina a quanto dicevo qualche post fa in relazione alla nomina di Prof. Vian alla direzione dell'Osservatore.

Se dovesse convincere un giovane a studiare patristica quali argomenti utilizzerebbe?

Dodaro: Beh, parlerei di sant’Agostino. Ma a parte quest’esempio, direi prendi i 10 problemi più grandi e difficili nella Chiesa di oggi, scegli quelli che vuoi e poi prova a confrontarli con quanto sviluppato dai Padri della Chiesa. Nella patristica classica troverai le radici e le risposte di ogni controversia che oggi la Chiesa deve affrontare. Ecco l’importanza dei Padri della Chiesa.

martedì 16 ottobre 2007

PATH su Joseph Ratzinger

Segnalo che l'ultimo numero della rivista PATH (Pontificia Academia Theologica, per un'idea si può vedere questa pagina, non aggiornatissima) verte tutto sul pensiero teologico di Joseph Ratzinger. Vi si può leggere anche un articolo di Nello Cipriani, nostro docente all'Augustinianum.
Dopo decenni di tesi su altri autori, è forse giunta l'ora di un'ondata di studi "ratzingeriani"? Spero che i colleghi dogmatici sappiano sorprenderci!

lunedì 8 ottobre 2007

Viva gli sposi!

Sabato ho presieduto per la prima volta in vita mia il Rito del Matrimonio. Non voglio aggiungere molto per mantenere sul piano personale e familiare la grande gioia che il Signore ci ha dato. Soltanto vorrei togliermi lo sfizio di riportare qui un sonetto del Petrarca non del tutto estraneo a quanto è avvenuto (!). Chi può capire, capisca ;-) Viva gli sposi!

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e 'l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi

e 'l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce umana.

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i' vidi; et se non fosse or tale,
piaga per allentar d'arco non sana.

lunedì 1 ottobre 2007

Un "patrologo" all'Osservatore

Sabato il Santo Padre ha nominato il nuovo direttore dell'Osservatore Romano: si tratta di Giovanni Maria Vian, docente all' Università "La Sapienza" di Roma oltre che in vari altri atenei. Il prof. Vian è stato allievo del grande prof. Manlio Simonetti - tuttora docente all'Augustinianum - ed è uno degli esimi studiosi italiani di letteratura cristiana antica e di antichità cristiane in genere. Si tratta dunque di un esponenente di quell'area dell'università statale che intrettiene ottimi rapporti con gli studiosi "ecclesiastici" di patrologia / teologia patristica.
Il fatto che sia stato chiamato alla direzione del quotidiano vaticano è l'ennesima riprova del fatto che l'accostarsi al mondo dell'antichità cristiana è un'ottimo strumento per la comprensione e l'analisi del momento presente della Chiesa e della società. Strano (forse), ma vero (certamente).
Auguri!

ecco la notizia ufficiale della nomina (Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede):
NOMINA DEL DIRETTORE EMERITO E DEL NUOVO DIRETTORE RESPONSABILE DE "L’OSSERVATORE ROMANO"

Il Santo Padre Benedetto XVI ha conferito il titolo di Direttore Emerito de «L'Osservatore Romano» all'Illustrissimo Professore Mario Agnes ed ha chiamato a succedergli nell'incarico di Direttore Responsabile del medesimo giornale l'Illustrissimo Professore Giovanni Maria Vian.

Prof. Giovanni Maria Vian
Giovanni Maria Vian, nato a Roma il 10 marzo 1952, storico del cristianesimo, è professore ordinario di Filologia patristica presso l’Università di Roma "La Sapienza" e docente a contratto presso l’Università "Vita-Salute San Raffaele" di Milano, dove insegna Storia della tradizione e della identità cristiane.
Dal 1999 è Membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.
Oggetto dei suoi studi sono il giudaismo ed il cristianesimo antichi, la storia della tradizione cristiana, nonché il papato contemporaneo.
Autore di un’ottantina di studi specialistici, ha curato alcuni libri, edito criticamente i "Testi inediti dal commento ai Salmi di Atanasio" (1978) e pubblicato i volumi "Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani" (2001, tre edizioni; traduzione spagnola, 2005, due edizioni), e "La donazione di Costantino" (2004, tre edizioni).
Dal 1976 è redattore e consulente scientifico dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Iscritto come pubblicista all’Ordine nazionale dei giornalisti dal 1976, è editorialista di "Avvenire" e del "Giornale di Brescia", nonché collaboratore di diversi quotidiani e periodici, tra cui "L’Osservatore Romano" (1977-1987) e la rivista bimestrale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore "Vita e Pensiero".
Nel 1984 ha contratto il Sacramento del Matrimonio con la Signora Margarita Rodríguez, scomparsa prematuramente nel 2000.

[01346-01.01]

domenica 16 settembre 2007

Per i deboli di memoria...

Can. 331 - Ecclesiae Romanae Episcopus, in quo permanet munus a Domino singulariter Petro, primo Apostolorum, concessum et successoribus eius transmittendum, Collegii Episcoporum est caput, Vicarius Christi atque universae Ecclesiae his in terris Pastor; qui ideo vi muneris sui suprema, plena, immediata et universali in Ecclesia gaudet ordinaria potestate, quam semper libere exercere valet.

Can. 331 - Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.

sabato 4 agosto 2007

Summorum Pontificum cura: un dossier dell'agenzia FIDES

Segnalo un interessante dossier pubblicato dall'agenzia FIDES (agenzia della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli) sul recente motu proprio del Papa Summorum Pontificum cura, di cui ho parlato abbondantemente qualche post fa.
L'elenco di tutti i dossier di FIDES è raggiungibile cliccando qui.
Buone cose a tutti!

lunedì 23 luglio 2007

tra poco si parte...

Ad Agosto sarò in Francia, a Lyon, per un corso offertomi (come borsista) dall'Ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Nel tempo libero, farò un po' di ricerca in vista della tesina di licenza.

domenica 15 luglio 2007

Domenica XV T.O. / C - spunti per omelie

LETTURE: Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

- La prima lettura può essere vista alla luce di Rm 10:

[6] Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo;

[7] oppure: Chi discenderà nell'abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti.

[8] Che dice dunque? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo.

[9] Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

[10] Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.

[11] Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso.

[12] Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano.

[13] Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.



- il Vangelo può essere letto alla luce di Gv 8:

[48] Gli risposero i Giudei [a Gesù]: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".

[49] Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.
Da notare che Gesù risponde solo a una delle due accuse, come sottolinea S. Agostino, In Ioannis Evangelium tractatus, XLIII, 2 (si può leggere qui).



- il "dialogo" fra Gesù e il dottore della legge richiama tanto da vicino quello che nell'usus antiquior del Rito Romano del Battesimo intercorre fra ministro e bambino:

V. N., quid petis ab Ecclesia Dei?

R. Fidem.

V. Fides quid tibi praestat?

R. Vitam aeternam.

V. Si igitur vis ad vitam ingredi, serva mandata. Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua, et ex tota mente tua, et proximum tuum sicut teipsum.


- Dal brano evangelico potrebbe prendere le mosse anche una catechesi sull'atto di carità:
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più. Amen.


- "Egli è il capo del corpo cioè della Chiesa" (seconda lettura): La Chiesa come corpo mistico di Cristo che anche oggi come Buon Samaritano si china sulle sofferenze del mondo.

martedì 10 luglio 2007

Il motu proprio SUMMORUM PONTIFICUM: una nuova gemma di una bellissima collezione di gioielli

Il 7 luglio è stato pubblicato, dopo tanta attesa, il motu proprio dal titolo "Summorum pontificum". Ne sono ben contento e cerco in un post non breve di spiegare il perché:

Benedetto XVI ha detto e continua a ripetere un dato fondamentale del suo insegnamento, che se ben compreso può essere la chiave per risolvere tanti problemi e incomprensioni all’interno della Chiesa. Si tratta di uno dei temi ricorrenti di questo pontificato, e ben a ragione.

L’insegnamento è il seguente: Il Concilio Ecumenico Vaticano II non va letto in rottura con la tradizione precedente, ma in continuità.

Quante volte abbiamo sentito dire «prima era così, adesso è cosà»; oppure: «la dottrina della Chiesa su questo punto è cambiata», etc. etc.?

E a queste formulazioni teoriche, spesso fanno seguito conseguenza pratiche…

La pubblicazione del motu proprio Summorum pontificum chiude quest’epoca. Tratta – è vero – di liturgia, ma giacché proprio la liturgia è il punto più evidente dei fautori della rottura, di coloro che dividono la storia della Chiesa in “prima del Concilio” e “dopo il Concilio”, ecco che il documento pontificio è solo la traduzione pratica dell’insegnamento di cui sopra.

Vediamo alcune puntate di questa “serie” papale:

Il 22 dicembre 2005, il Santo Padre, ricordando che nell’anno appena trascorso si è celebrato il quarantennio della chiusura del Vaticano II, affermò [tutte le sottolineature nei testi citati sono mie]:

Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.

(…)

All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865).

(…)

Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8). Chi si era aspettato che con questo “sì” fondamentale all'età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l’“apertura verso il mondo” così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell'uomo. Questi pericoli, con le nuove possibilità e con il nuovo potere dell'uomo sulla materia e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni: uno sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un "segno di contraddizione" (Lc 2,34) – non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo VI e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell'uomo. Era invece senz'altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l'esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l'età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. La situazione che il Concilio doveva affrontare è senz'altro paragonabile ad avvenimenti di epoche precedenti. San Pietro, nella sua prima lettera, aveva esortato i cristiani ad essere sempre pronti a dar risposta (apo-logia) a chiunque avesse loro chiesto il logos, la ragione della loro fede (cfr 3,15). Questo significava che la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l'interpretazione la linea di distinzione, ma anche il contatto e l'affinità tra loro nell'unica ragione donata da Dio.

L’intero ampio discorso si può trovare qui:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_spe_20051222_roman-curia_it.html

Il 27 gennaio 2007, parlando ai Prelati Uditori e agli Avocati del Tribunale della Rota Romana (il tribunale che si occupa delle dichiarazioni di nullità dei matrimoni), il Santo Padre applicava alla situazione pratica dei matrimoni, il discorso valido in linea teorica per ogni aspetto della vita della Chiesa:

Questa crisi di senso del matrimonio si fa sentire anche nel modo di pensare di non pochi fedeli. Gli effetti pratici di quella che ho chiamato "ermeneutica della discontinuità e della rottura" circa l’insegnamento del Concilio Vaticano II (cfr Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005) si avvertono in modo particolarmente intenso nell’ambito del matrimonio e della famiglia. Infatti, ad alcuni sembra che la dottrina conciliare sul matrimonio, e concretamente la descrizione di questo istituto come "intima communitas vitae et amoris" (Cost. past. Gaudium et spes, n. 48), debba portare a negare l’esistenza di un vincolo coniugale indissolubile, perché si tratterebbe di un «ideale» al quale non possono essere "obbligati" i "cristiani normali". Di fatto, si è diffusa anche in certi ambienti ecclesiali la convinzione secondo cui il bene pastorale delle persone in situazione matrimoniale irregolare esigerebbe una sorta di loro regolarizzazione canonica, indipendentemente dalla validità o nullità del loro matrimonio, indipendentemente cioè dalla "verità" circa la loro condizione personale. La via della dichiarazione di nullità matrimoniale viene di fatto considerata uno strumento giuridico per raggiungere tale obiettivo, secondo una logica in cui il diritto diventa la formalizzazione delle pretese soggettive. Al riguardo, va innanzitutto sottolineato che il Concilio descrive certamente il matrimonio come intima communitas vitae et amoris, ma tale comunità viene determinata, seguendo la tradizione della Chiesa, da un insieme di principi di diritto divino, che fissano il suo vero senso antropologico permanente (cfr. ibid.).

Forse che la situazione descritta dal Santo Padre quanto al matrimonio non si può applicare ad altri campi, ogni volta che quello che viene individuato come “il bene pastorale” viene elevato a criterio ultimo “indipendentemente” “dalla verità circa” le singole situazioni o “dalla verità” del Vangelo insegnato nella Dottrina della Chiesa? Possiamo dunque – a mio avviso – considerare quest’intervento come una sorta di manifesto per l’applicazione pastorale dell’ermeneutica della continuità.

Tale ermeneutica si applica naturalmente anche in campo liturgico. Questo già nella Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007). Al paragrafo 3, dal titolo “Lo sviluppo del culto eucaristico”, si legge:

Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell'evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese di Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza. La XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 2 al 23 ottobre 2005 in Vaticano, ha espresso nei confronti di questa storia un profondo ringraziamento a Dio, riconoscendo operante in essa la guida dello Spirito Santo. In particolare, i Padri sinodali hanno constatato e ribadito il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II ha avuto per la vita della Chiesa (5). Il Sinodo dei Vescovi ha avuto la possibilità di valutare la sua ricezione dopo l'Assise conciliare. Moltissimi sono stati gli apprezzamenti. Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all'interno dell'unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture (6).

Ed ecco la nota 6 a cui rimanda la fine del paragrafo:

Mi riferisco qui alla necessità di una ermeneutica della continuità anche in riferimento ad una corretta lettura dello sviluppo liturgico dopo il Concilio Vaticano II: cfr Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 44-45.

E giungiamo in tal senso alla promulgazione del motu proprio Summorum pontificum (7 luglio 2007). Nella lettera di presentazione il Santo Padre chiarisce:

Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.

Nella stessa lettera, il Papa afferma:

Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Come non associare questa lettura “creativa” del Messale di Paolo VI a quel fenomeno descritto da Benedetto XVI nel testo già citato sopra? Ecco il passaggio a cui mi riferisco (22 dicembre 2005), una descrizione di alcuni aspetti della condannata “ermeneutica della rottura”:

Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità.

Chiaro segno di estrema continuità della storia della Chiesa e della liturgia è l’esordio del motu proprio:

I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”.

Ecco dunque che la possibilità di utilizzare il Messale, numerosi Rituali e il Breviario promulgati dal B. Giovanni XXIII ben si concilia con quanto insegnato a più riprese dal Pontefice. Inoltre, prendendo le mosse dall’ultimo testo citato, si può porre un’ulteriore considerazione:

Spesso ci si imbatte, nell’ambito degli studi teologici (e non solo), in qualcuno che – sulla base della presunta contrapposizione fra la lex orandi preconciliare e quella postconciliare – trae conclusioni dottrinali. «Poiché lex orandi e lex credendi devono concordare – affermano – il fatto che la Chiesa abbia rinunciato a certe forme liturgiche o paraliturgiche significa che…» e qui si trae la conclusione desiderata. Ma ora è stato detto in modo inequivocabile che:

«Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano» (Summorum pontificum, art. 1)

Allora mi chiedo: come reggerà in futuro tale discorso? Non si è sufficientemente dimostrato che è sempre stato fondato malamente, e che le sue conclusioni sono del tutto inattendibili, proprio perché prendono le mosse da premesse false?

In conclusione, sono tanti i motivi per cui si può a giusto titolo gioire per la promulgazione dell’atteso motu proprio; io mi sono limitato a inquadrarne la genesi nel contesto dell’insegnamento pontificio sull’ermeneutica del Concilio Vaticano II. È un insegnamento gravido di conseguenze in ogni campo e che, se ascoltato (speriamo), non mancherà di dare frutti abbondanti e meravigliosi.

VIVA IL PAPA!

sabato 16 giugno 2007

Di nuovo a casa

Era da un po' che non aggiornavo.
Sono rientrato in Sardegna, e sono a casa mia. Il 28 gugno sera mi attende l'Ordinazione Presbiterale o Sacerdotale che dir si voglia. Il giorno dopo, 29 giugno, presiederò per la prima volta la Santa Messa. Sono giorni di preparazione abbastanza intensi.
Intanto il mese di Giugno in Sardegna sarà costellato in totale di 3 ordinazioni diaconali (se includiamo il 1° luglio) e 5 ordinazioni sacerdotali: non male! Preghiamo ancora il Signore perché mandi ancora santi e numerosi operai nella sua messe.

venerdì 25 maggio 2007

Cinque tesi sul Family Day

Mi sono imbattuto, on line, in questo testo che copio e incollo qui. Mi pare una riflessione abbastanza interessante. Buona lettura

Cinque tesi sul Family Day (di Rocco Buttiglione)

1. Con il family day un nuovo protagonista si affaccia sulla scena pubblica italiana. Si tratta dei movimenti che hanno organizzato la manifestazione. Il Cammino Neocatecumenale ha portato in piazza probabilmente da due a trecentomila persone, il Rinnovamento nello Spirito Santo forse altrettanti, Comunione e Liberazione tantissimi e così la Comunità di S. Egidio e via via tutte le organizzazioni e movimenti (21) presenti su quella piazza. Il giorno dopo mi sarei aspettato di vedere sui giornali un fiorire di interviste a Kiko Arguello, a Salvatore Martinez, a Giancarlo Cesana (le guide dei movimenti). Niente: il tema era chi potesse in qualche modo erigersi a rappresentante e portavoce della piazza come se la manifestazione non fosse stata fatta proprio perché quella piazza voleva parlare in proprio ed i suoi portavoce non se li fosse scelti: Savino Pezzotta ed Eugenia Roccella.
Il fatto è proprio questo: è cresciuta nella società italiana una rete di presenze cristiane postmoderne. Non è un residuo del vecchio cattolicesimo rurale premoderno, una volta maggioritario ma comunque destinato ad essere travolto dalla modernizzazione. Tutti questi movimenti nascono nella modernizzazione, come risposta alla alienazione ed alla anomia di cui la modernizzazione è portatrice. La fede ha dato senso, gioia e forza alla esistenza di queste donne e di questi uomini. Sono uomini di questo mondo e sanno di svolgere funzioni sociali fondamentali. Li troviamo nel volontariato, nella impresa etica, in tutti i settori e le funzioni della società. Si sono innamorati, hanno creduto all’amore, si sono sposati e lavorano duramente per i loro figli e le loro famiglie. Adesso scoprono che la famiglia è il vero soggetto oppresso della nostra società. E’ oppresso economicamente ed è oppresso culturalmente. La società va avanti per il lavoro ed i sacrifici delle famiglie ma il potere dei media e della politica protegge stili di vita edonistici, narcisistici ed egoistici che pretendono molto e non danno nulla.
Era inevitabile che i nuovi movimenti incrociassero la politica e questo è avvenuto in piazza S. Giovanni.

2. Questi movimenti sono ecclesiali e non politici. Spesso gli aderenti disprezzano la politica e la considerano una cosa sporca. Nessuno sa esattamente cosa votino i singoli membri anche se è verosimile pensare che la scelta della sinistra a favore del relativismo etico diminuisca le simpatie di cui essa può disporre in questa area. La reazione di Rifondazione Comunista con il titolo del quotidiano di partito Liberazione “Famiglia Assassina” certo approfondisce questa tendenza. Sarebbe tuttavia sbagliato per una qualsiasi forza politica immaginare di controllare o potere strumentalizzare i movimenti. Occorre piuttosto ascoltare le loro rivendicazioni ed, al di là di esse, fare attenzione alla novità culturale ed antropologica che rappresentano. L’Italia ha bisogno di una profonda riforma intellettuale e morale. La politica ha bisogno di una grande riforma intellettuale e morale. Lì c’è una riserva enorme di energie per questa riforma. Se questa gente arriverà ad investire in politica il suo entusiasmo e la sua energia di vita possono salvare il paese. Loro non possono in astratto rifiutare l’ipotesi. In fondo Paolo VI ha detto che la politica è (dovrebbe essere) una forma particolarmente alta di esercizio della carità. In concreto bisogna costruire percorsi puliti, credibili, capaci di alimentare un nuovo impegno per il bene comune. Bisogna trovare un modo per fare politica senza dannarsi l’anima, cioè senza diventare uomini peggiori, più egoisti e cattivi ma anzi mantenendo quel gusto della vita che l’incontro con la fede nei movimenti ha generato.

3. Il cattolicesimo democratico è finito. Dicesi cattolicesimo democratico, secondo la definizione di Gramsci, l’insieme dei movimenti che nascono per superare la contraddizione fra cattolicesimo e democrazia. Tali movimenti hanno il compito di condurre i cattolici alla democrazia e, una volta compiuto questo compito, devono suicidarsi. L’avversario principe del cattolico democratico è il cattolico integralista, cioè il cattolico nostalgico del passato che non comprende la necessità per il cattolico di accettare le forme della vita moderna e di dissolversi in esse, mantenendo al più una fede del tutto privata. La costituzione del Partito Democratico segna il trionfo e la fine del cattolicesimo democratico. La società è cambiata ed al vecchio laicismo, con il quale era possibile un accordo fondato sul riconoscimento comune del diritto naturale, subentra come avversario il relativismo etico che dissolve l’insieme dei valori naturali che tengono insieme la vita del popolo.
In risposta a questa sfida sta nascendo un’altra forma di presenza dei cattolici nella società con effetti inevitabili anche se ancora imprevedibili sulla politica.

4. Non è un caso che i movimenti incrocino la politica proprio sul tema della famiglia. Il cattolicesimo di sinistra ha molto insistito sul tema della scelta preferenziale a favore dei poveri. I poveri erano allora gli operai organizzati prevalentemente dal Partito Comunista. Essere vicini ai comunisti era visto da molti come una specie di risarcimento per le incomprensioni, i ritardi ed anche i tradimenti della Chiesa verso la classe operaia. In una fase le ACLI giunsero addirittura a mettere sullo stesso piano la fedeltà alla Chiesa e la fedeltà alla classe operaia.
Oggi la società è profondamente cambiata, il comunismo è crollato sotto il peso delle sue ingiustizie e del suo disprezzo per la dignità della persona umana e anche la classe operaia è stata travolta dal mutamento sociale. La crisi della sinistra in tutta Europa nasce prima di tutto dalla perdita del solido referente sociale che per essa aveva rappresentato la classe operaia.
Se ci domandiamo oggi chi sono i poveri l’ISTAT ci da una risposta abbastanza univoca: nella nostra società i poveri sono le famiglie. Naturalmente questo non vuol dire che tutte le famiglie siano povere ma a parità di reddito percepito il reddito disponibile di chi non ha famiglia è assai più elevato di quello di chi ha famiglia perché i figli costano ed i costi della generazione ed educazione dei figli li pagano solo le famiglie. I benefici che derivano dall’esistenza in vita della nuova generazione (per esempio le pensioni pagate con le tasse ed i contributi dei lavoratori attivi) sono per tutti ma i costi sono solo a carico delle famiglie. E’ una situazione che richiama molto da vicino quella del proletariato negli anni della rivoluzione industriale descritta da Marx. I poveri finanziano gli stili di vita dei ricchi. E’ per questo che i poveri non votano più a sinistra. E’ per questo che la questione delle famiglie non è una questione marginale, quasi di beneficenza a favore dei poveri, ma vera e fondamentale questione sociale. Sulla questione delle famiglie si può forse iniziare quella contestazione della società capitalistica e dei consumi a cui Benedetto XVI chiama nei suoi discorsi brasiliani. Una contestazione che non mette in questione i valori positivi del mercato ma la loro degenerazione. Si può costruire su questo una proposta politica complessiva, nazionale ed europea?

5. La folla di S. Giovanni è una folla di laici, ed in più di uno dei sensi di questa parola.
In primo luogo non sono preti. Certo: se i vescovi non avessero dato un chiaro cenno di simpatia la manifestazione non si sarebbe fatta. Tuttavia i movimenti che hanno portato la gente sono laici, fatti da laici che si sono presi fino in fondo le loro responsabilità nella evangelizzazione e anche nella presenza sociale.
In un secondo senso sono laici nel senso che non sono farisei. Vivono nel mondo di oggi, hanno amiche ed amici che sono separati, divorziati, omosessuali, non credenti. Non dicono a nessuno “sei un peccatore quindi sei fuori della Chiesa” (a questa tentazione cedono piuttosto alcuni “cattolici democratici”). Puoi affermare un valore anche se non riesci a praticarlo compiutamente. Anzi: affermiamo i valori anche se sappiamo di essere tutti peccatori ed inadeguati rispetto al valore che pure portiamo nella nostra carne. Particolarmente commovente è stata la testimonianza dal palco di un giovane padre divorziato.
In un terzo senso la manifestazione era laica perché difendeva non il sacramento del matrimonio ma la funzione sociale laica della famiglia, che è quella di generare ed educare i bambini e costruire vincoli di solidarietà dentro una generazione e fra le generazioni. Difendiamo anche le famiglie dei divorziati, quelle che sono riuscite a costituirsi al secondo o al terzo tentativo ma svolgono funzione sociale di famiglia. Per questo è stato irrimediabilmente sciocco e passatista contrapporre alla manifestazione di S. Giovanni la celebrazione del referendum sul divorzio. Infine era laica perché c’erano molti non credenti o credenti di diverse religioni che credono nel valore della famiglia e la scelta di Eugenia Roccella come portavoce dice pure qualcosa sullo spirito di questa nuova realtà che ha occupato la scena pubblica per un giorno ma è probabilmente destinata a fare ancora molto parlare di se.

Rocco Buttiglione

mercoledì 23 maggio 2007

dopo un lunga assenza sono qua...

rieccomi.
chiedo scusa per la non breve assenza. La settimana scorsa ho vissuto un prolungato ritiro in vista dell'ormai prossima ordinazione sacerdotale.
Martedì prossimo, presso la facoltà teologica di cagliari, alle 11.30, sosterrò l'esame di baccellierato, ossia l'esame che conclude il primo ciclo di studi teologici, nel quale si presenta un lavoro personale scritto. Il mio reca questo titolo: Origene esegeta del sacrificio d’Isacco (Gen 22,1-19): un esempio dell’originalità cristiana nella recezione di principi esegetici di Filone d’Alessandria. Magari dopo matedì lo posso inviare per e-mail a chi ne facesse richiesta. è un periodo un po' pieno. a presto

giovedì 10 maggio 2007

IO CI SARÒ


Un grande SÌ alla famiglia fondata sul matrimonio e aperta all’accoglienza dei figli.
NO al riconoscimento pubblico delle unioni di fatto.
SÌ a politiche audaci e durature di promozione della famiglia.
SÌ ai bisogni delle persone conviventi.

lunedì 7 maggio 2007

Terrorismo, terrorismi e compagnia bella

Di recente L'Osservatore Romano ha usato parole dure per attaccare uno dei "conduttori" del concerto del 1° maggio. «Anche questo è terrorismo», ha scritto il giornale di Oltretevere. Ovviamente ha fatto seguito una levata di scudi sia dentro che fuori la Chiesa. Ebbene, la cosa mi è tornata in mente riscoltando una delle mie omelie preferite di Mons. Mani, arcivescovo di Cagliari (sì, diciamolo francamente, è un buon oratore). Il 15 settembre 2006, ordinando cinque nuovi preti, così diceva:

Al mondo delle paure, delle incertezze, delle minacce, di quel terrorismo spicciolo che potrebbe chiamarsi emarginazione se non ti lasci omologare dal modo di pensare comune, a quel mondo, che potreste trovare infiltrato anche nella Chiesa, rispondete con la sicurezza dell’amore: "Mi hai sedotto Signore, e mi sono lasciato sedurre", "So a chi ho creduto e sono sicuro".
Amen.
L'intera omelia si può leggere e scaricare in mp3 cliccando qui.

mercoledì 25 aprile 2007

Conversione di Sant'Agostino

Il 25 aprle 387, nella notte pasquale, a Milano, Sant'Agostino riceveva il Battesimo da Sant'Ambrogio, insieme al figlio Adeodato. Ricorre oggi dunque il 1620° anniversario di questo lietissimo evento.
Può essere l'occasione per leggere la bellissima omelia che Benedetto XVI ha tenuto domenica mattina a Pavia, in cui si parla della "triplice conversione" di Agostino.

domenica 22 aprile 2007

San Leonida, prega per noi

Oggi poi, 22 aprile, il Martirologio Romano propone la memoria di San Leonida... un santo che certamente a molti sarà ignoto, ma è morto martire e inoltre... è il padre del grande Origene, presbitero e scrittore cristiano del III secolo.
Così si legge nel martirologio in data odierna:

22 Aprile.

(...)

S. Leonida
Ad Alessandria d’Egitto, ricordo di S. Leonida, martire, che, sotto Settimio Severo, fu decapitato in nome di Cristo, lasciando il figlio Origene ancora fanciullo.

(...)


Intanto stasera il Papa ha reso omaggio alle spoglie di Sant'Agostino. Difficilmente dimenticherò questo sguardo:

giovedì 19 aprile 2007

VIVA IL PAPA!!!


Oggi ricorre il 2° anniversario dell'elezione del nostro amato Santo Padre Benedetto XVI. Già lunedì abbiamo festeggiato l'importante traguardo degli 80 annni di età. È una grande gioia avere questo Papa e ascoltare la sua parola... Ho anche comprato il libro e ho letto i primi tre capitoli: molto illuminanti. Benedetto XVI è dolce e forte.
Festeggio con un piccolo aneddoto, dei giorni in cui aspettavamo con ansia l'elezione del nuovo Papa, dopo la morte di Giovanni Paolo II. Era sabato 16 aprile 2005, era il terzo sabato del mese e quindi eravamo liberi, in seminario, di partire per andare alle parrocchie di destinazione già prima di pranzo... mentre dunque ero in macchina con altri seminaristi, alle 9.17 mi arriva un sms (non guidavo io, dunque potevo leggerlo subito): «...oggi è il compleanno di Joseph Ratzinger...Dominus conservet eum...ehm!buongiorno!»... Bè, che dire? tre giorni dopo quel sms giocoso e speranzoso era divenuto pienamente realtà: Oremus pro pontifice ... Dominus conservet eum è infatti una parte della preghiera classica che la Chiesa innalza a Dio per il Papa, parafrasando leggermente le espressioni iniziali del salmo 41 (40).
Santità, ancora tanti, tanti, tanti di questi giorni: è un grande augurio per Lei e per noi!
VIVA IL PAPA!

domenica 8 aprile 2007

BUONA PASQUA!


Surrexit Dominus de sepulcro, qui pro nobis pependit in ligno!
All’inizio della liturgia della Messa Papale del giorno di Pasqua, il diacono canta queste parole: Surrexit Dominus de sepulcro, qui pro nobis pependit in ligno! - Il Signore è risorto, lui che per noi pendeva dal legno! È un’espressione che presenta una gioia estremamente “reale”, storica e concreta… non si parla di risurrezione di un uomo qualsiasi, non si annuncia superficialmente un trionfo che dimentica il dolore… no. Solo guardando a colui che per noi fu appeso al legno della croce comprendiamo la portata rivoluzionaria e profondissima della risurrezione. Dice la Lettera agli Ebrei: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (4, 15-16). È risorto dunque Cristo, vero uomo che ha sperimentato il dolore, la solitudine e la morte in un grado impareggiabile, e vero Dio che entrando in queste realtà le ha sconfitte cambiandole dall’interno, nell’attesa che nell’ultimo giorno tutto sia posto definitivamente sotto i suoi piedi!
Surrexit Dominus de sepulcro, qui pro nobis pependit in ligno!



Surrexit Dominus vere, et apparuit Simoni!
Questa seconda frase – che il diacono canta rivolto verso il Santo Padre dopo quella di cui si è già parlato – si trova letteralmente nel Vangelo secondo Luca: Quando Gesù sparisce improvvisamente alla vista dei discepoli di Emmaus dopo aver spezzato il pane, «essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone – Surrexit Dominus vere, et apparuit Simoni”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (24, 32-35). Anche la Prima lettera ai Corinzi di San Paolo attesta una particolare apparizione del Risorto a Simon Pietro: «[Cristo] apparve a Cefa e quindi ai dodici» (15, 5). Dire dunque Surrexit Dominus vere, et apparuit Simoni sta a significare che la meravigliosa esperienza della Risurrezione di Cristo non ci viene data in modo intimistico e isolato, ma attraverso Pietro e la Chiesa… Se è vero che questa frase parla di una particolare apparizione di Cristo risorto a Pietro, è vero anche che è un’espressione che fiorisce sulle labbra sorridenti della Chiesa nascente. Ascoltiamo allora Pietro negli Atti degli Apostoli: «Dio ha risuscitato Gesù di Nazaret al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (10, 40-41). Ancora oggi possiamo entrare in contatto con Pietro – Benedetto XVI – e con i “testimoni prescelti da Dio”, e sperimentare davvero la sua risurrezione, il perdono dei peccati, la vita eterna.
Surrexit Dominus vere, et apparuit Simoni!


BUONA PASQUA 2007
a tutti voi!

mercoledì 4 aprile 2007

Inizia il Triduo Pasquale...


Domani iniziamo il denso e bellissimo itinerario del Triduo Pasquale. Guardando con gli occhi del cuore il Crocifisso possiamo come far rinascere la forte e lieta speranza che nasce dalla fede... Ma in cosa aver fede? in che sperare? Proprio oggi leggevo un passo di Romano Guardini (Qualche post fa parlavo del libro da cui traggo questo pensiero) che riporta il nostro sguardo sull'unica certezza che è roccia per la nostra vita. Ecco qui il suo pensiero (non è forse di immediata e facilissima comprensione, forse, ma vi prego... leggete e rileggete perché ne vale la pena):

Da quando il Signore è morto, ciò ha preso posto nella realtà. Per il fatto che questo sussiste, tutto è cambiato. Di là noi traiamo la vita, nella misura in cui siamo vivi davanti a Dio.
Quando qualcuno chiede: Che cosa v’è allora di sicuro? Così sicuro che se ne possa vivere e morire? Così sicuro che tutto vi si possa ancorare dentro? La risposta è questa: l’amore di Cristo… La vita ci insegna che questa suprema realtà non è costituita da persone umane, fossero anche le migliori e le più care; nemmeno dalla scienza, o dalla filosofia, o dall’arte, o da quant’altro l’energia umana produce. Neppure dalla natura, così densa di profondo inganno; o dal tempo, dal destino… Nemmeno semplicemente da Dio, poiché sul peccato s’è destata in verità la collera di Dio e senza Cristo come potremmo sapere che cosa dobbiamo attenderci da lui? È certo solo l’amore di Cristo. Non possiamo neppure dire: l’amore di Dio, perché sappiamo definitivamente sola attraverso Cristo che Dio ci ama. E se sapessimo questo senza Cristo – l’amore può essere anche inesorabile, e tanto è più duro, quanto è più nobile. Solo mediante Cristo sappiamo che Dio ama perdonando. No, in verità, ciò che è certo è solo quanto si è rivelato sulla croce: l’intento, che là vive; la forza che colma quel cuore. È già vero quel che spesso viene predicato in modo così inadeguato: il cuore di Gesù Cristo è principio e fine di tutto. E quanto d’altro rimane sicuro – là dove si tratta di vita eterna e di morte eterna – ha solida consistenza in ragione di lui.

Buon Triduo Pasquale a tutti!

mercoledì 28 marzo 2007

La lezione di San Giustino

Mercoledì scorso ero presente all'udienza generale in Piazza San Pietro... insieme a tanti sardi convenuti con i vescovi per la visita ad limina. Qui vorrei però sottolineare solo quanto detto nella catechesi papale, che verteva su san Giustino:


Il Papa ha così esordito:
Cari fratelli e sorelle, stiamo in queste catechesi riflettendo sulle grandi figure della Chiesa nascente. Oggi parliamo di San Giustino, filosofo e martire, il più importante tra i Padri apologisti del secondo secolo. La parola “apologisti” designa quegli antichi scrittori cristiani che si proponevano di difendere la nuova religione dalle pesanti accuse dei pagani e degli Ebrei, e di diffondere la dottrina cristiana in termini adatti alla cultura del proprio tempo. Così negli apologisti è presente una duplice sollecitudine: quella, più propriamente apologetica, di difendere il cristianesimo nascente (apologhía in greco significa appunto “difesa”) e quella propositiva, “missionaria”, di esporre i contenuti della fede in un linguaggio e con categorie di pensiero comprensibili ai contemporanei.

L'intera catechesi si può leggere ovviamente sul sito della Santa Sede. Ciò che più mi ha colpito - ed è quello che rilevo spesso negli studi - è l'attualità di questo personaggio e della sua opera. A tal proposito il Papa ha concluso la catechesi con un'attualizzazione molto interessante:

Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell'essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: “Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit - Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine” (De virgin. vel. 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni “moda culturale”, “moda del tempo”.

In un'età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione - come pure nel dialogo interreligioso -, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo - e così concludo - le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: “Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire" (Dial. 7,3).

Quanto occorre anche oggi sottoporre sempre di nuovo la consuetudine, il sentire comune, la vulgata giornalistica, direi anche un certo politically correct, al vaglio del Logos rivelatosi in Cristo e del quale siamo partecipi!

Segnalo infine che l'Apologia di Giustino è stata di recente edita e pubblicata nella collana Sources chrétiennes (n° 507)

martedì 6 marzo 2007

La bugia più grande della storia (?????)

Sabato si è concluso il festival di Sanremo con la vittoria di Simone Cristicchi, osannato un po' da tutti per la sua Ti regalerò una rosa.
Anch'io voglio tributargli un piccolo omaggio proponendovi un testo pregnante del medesimo cantautore, scritto circa un anno fa.
Il titolo del pezzo è "Prete". Eccovelo di seguito:

Mi ricordo da bambino mi portavano alla messa,
ed io seguivo la funzione con un'aria un po' perplessa...
il prete stava in piedi sull'altare col microfono
spiegava i passi del Vangelo con tono monotono
col tempo e con la scusa di giocare all'oratorio
mi infilarono nel mucchio catechismo obbligatorio
perché non sta bene, non puoi essere diverso,
emarginato come pecora smarrita dentro a un bosco.
al di fuori del contesto...

inginocchiati per bene, adesso dì le preghierine
non dubitare mai dell'esistenza del Signore,
lascia stare le tue fantasie sessuali di bambino,
quante volte ti sei masturbato il pistolino?

Il prete in molti casi è un uomo molto presuntuoso,
nonostante l'apparenza di un sorriso zuccheroso,
crede di essere il depositario di una verità assoluta,
ad ogni tua obiezione, lui rigira la frittata!

Prete! Io non ho voglia di ascoltarti,
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia.
La bugia più grande della storia.

La storia della Chiesa è seminata di violenza, di soprusi,
la Santa Inquisizione è prepotenza,
e poi genuflessioni collettive dei politici,
salvezza delle anime, la rendita degli immobili
ma quanti begli affari fate con il Giubileo
e quanti bei miliardi che sta alzando Padre Pio
Se Gesù Cristo fosse vivo si vergognerebbe
Delle tonnellate di oro e delle vostre banche,
Se Gesù Cristo fosse vivo si vergognerebbe
Delle chiese piene d'oro e delle banche.

Prete! Io non ho voglia di ascoltarti,
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
La bugia più grande della storia.

Perdonate questo sfogo troppo anti-clericale,
in fondo ognuno è libero di scegliersi la sua prigione,
libero di farsi abbindolare, ipnotizzare,
dal papa, dal Guru, dal capo spirituale
ma la cosa deprimente e che mi butta giù
è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù,
la mia sola religione è vocazione per il dubbio ,
IO non crederò a qualsiasi cosa dica un

Prete! Io non ho voglia di ascoltarti,
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
La bugia più grande della storia
La bugia più grande della storia
PRETE!

sabato 3 marzo 2007

Una lettura per la Quaresima


Secondo l’invito contenuto nel tema del messaggio papale per la Quaresima (“Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”), ho ripreso a leggere un testo che avevo interrotto da un po’ di tempo. Si tratta del libro «Il Signore» di Romano Guardini. Riprendere la lettura di questo testo è anche prepararsi all’uscita del prossimo libro del Santo Padre su Gesù. Mi pare che le meditazioni di Guardini siano veramente eccezionali e profonde; talvolta esse non sono di semplicissima lettura, richiedono una certa attenzione, però aiutano davvero ad aprire gli occhi sulla Persona di Gesù Cristo, non come “idea” o “concetto” ma – appunto – come uomo storico in cui abita la pienezza della divinità.


Romano Guardini, Il Signore, Vita&Pensiero - Morcelliana, Milano - Brescia 2005, pp.768, € 27.

martedì 20 febbraio 2007

inizia la Quaresima

Tra poche ore inizieremo il cammino quaresimale; ogni battezzato è chiamato a rientrare in se stesso per incontrare profondamente Cristo e accogliere di nuovo il dono della risurrezione che Egli viene a offrire a ciascuno. Personalmente inizio ogni anno questo percorso sapendo che è al tempo stesso serio e fruttuoso, tenendo sempre davanti agli occhi il fatto che la Grazia di Dio è come sempre protagonista.
Segnalo in tal senso anche il bellissimo messaggio per la Quaresima scritto dal Santo Padre. Per leggerlo si può fare clic qui.
Il tema proposto dal Santo Padre è "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto".
Volgiamo lo sguardo su Cristo, secondo quanto si legge anche nella prima lettera di Clemente:
Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza.
(1Clem VII,4)

giovedì 15 febbraio 2007

Ieri era San Valentino... o no?

Scusate il ritardo. Questo post lo dovevo pubblicare ieri, ma poi non ho avuto tempo. Vorrei chiarire una piccola questione: tutti ieri ricordavano o “celebravano” in modi tutto sommato abbastanza commerciali la festa di San Valentino. Eppure chiunque sia stato a Messa o abbia aperto il Breviario o consultato un calendario liturgico si sarà reso conto senz’altro che ieri ricorreva la festa dei Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa. Come spiegare questa incongruenza? Era San Valentino sì o no?

La risposta c’è, ed è anche abbastanza semplice. Fino al 1969 – data in cui il calendario liturgico venne riformato secondo i criteri stabiliti dal Concilio Ecumenico Vaticano II – il 14 febbraio si celebrava effettivamente la memoria di San Valentino Martire, mentre Cirillo e Metodio si celebravano il 7 luglio (non so il motivo di questa data). Ora, uno dei criteri di riforma del calendario fu quello di portare la celebrazione dei santi nel giorno della loro morte. Poiché Cirillo morì il 14 febbraio 869 e Metodio il 6 aprile 885, le date fra cui scegliere erano due: 14 febbraio o 6 aprile; però qui probabilmente entrò in gioco un altro criterio di riforma: lasciare libere – se possibile – le date in cui facilmente potrebbe essere in corso la celebrazione della Quaresima o dell’Ottava di Pasqua. Ecco allora che si optò per il 14 febbraio, sopprimendo – almeno nel calendario generale – la memoria di San Valentino.

Tuttavia, nel Martirologio Romano, si ricorda che il 14 febbraio Valentino subì il martirio a Roma, nella Via Flaminia, vicino a Ponte Milvio. Ovviamente dunque si può celebrare dove è patrono della Chiesa (ad esempio una “Parrocchia San Valentino”) o della diocesi, tralasciando in questo caso la festa dei Santi Cirillo e Metodio.

Perché San Valentino è considerato il “patrono degli innamorati”? Non so bene. Posso ipotizzare che ci sia stata la sovrapposizione di qualche precedente festa pagana per via della data. Ricordiamo che San Valentino morì nel III secolo, per cui anche la memoria liturgica è molto antica: è facile allora che una festa che già si celebrava in quei giorni e che magari esaltava la fecondità e l’amore umano (in fondo non siamo lontani dalla primavera) sia stata in qualche modo associata alla memoria del martire. Ma, ripeto, su questo non sono sicuro.

venerdì 9 febbraio 2007

DICO: un passo avanti rilevante: sì, verso lo sfascio

Ieri sera il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sui "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi".
Anzitutto mi pare doveroso riportare il commento di un membro eminente della maggioranza di governo, quale Franco Grillini, deputato Ds e presidente onorario di Arcigay, che ha affermato:
Si poteva fare meglio, ma è un primo passo rilevante

E come no?! non avevamo dubbi! "primo passo", e sappiamo bene verso dove!

Come primo passo comunque non c'è male:

  • i conviventi hanno diritto alle case popolari: è risaputo infatti che in Italia c'è un'abbondanza tale che possiamo permetterci di dare case popolari senza problemi.... poi magari capita che due conviventi omosessuali che hanno un reddito inferiore a una famiglia con tre figli sopravanzi quest'ultima nella graduatoria, senza considerare assolutamente il reddito pro capite dei componenti, visto che questo in Italia non conta nulla. Che dire: un primo grande risultato!
  • poi... udite udite: il convivente extracomunitario o apolide ha diritto al permesso di soggiorno per convivenza! ma certo, come no? dopo che il governo ha concesso l'asilo politico a chinque alla frontiera dichiari di essere omosessuale e per questo perseguitato nel suo paese d'origine, questa è la conseguenza più normale! poco importa se gli altri immigrati devono fare ore di fila davanti agli uffici postali per ottenere (forse) lo stesso risultato.
  • Si parla già di reversibilità della pensione: anche in questo caso, che dire? è noto a tutti che le casse dell'INPS traboccano di contanti, per cui: finché ce n'è viva il re! Come potremmo definire questa politica? masochismo previdenziale o masochismo governativo tout court? Ai posteri l'ardua sentenza.
  • È poi interessantissimo notare che lo Stato ha doveri verso tali conviventi, ma essi non ne hanno verso lo Stato, ma solo verso il convivente! per non parlare poi della facilità dello scioglimento del vincolo, ragion per cui eventuali figli vivrebbero in una situazione di totale precarietà.
  • A proposito di figli: si noti che la parola ricorre solo 4 volte nel ddl governativo... e in punti cruciali, direi! 1 volta la troviamo nell'art. 8, che tratta della "Successione nel contratto di locazione"; 3 volte nell'art. 11 sui "diritti successori". Che dire? Cosa sono i figli, se non quello strumento per cui ci si garantisce la casa, o quell'ostacolo con cui fare i conti nello spartire l'eredità? Vergogna! Non una parola sui doveri dei conviventi verso eventuali figli!
Per queste e molte altre considerazioni che vi risparmio
DICO NO
a questo "primo passo" verso lo sfascio della nostra società. Si ricordi una legge dell'economia (Legge di Gresham) - che potremmo ben applicare anche in questo campo -: LA MONETA CATTIVA SCACCIA QUELLA BUONA. Oggi introduciamo i DICO? Non sorprendiamoci se in un domani non tanto lontano vivremo in una società in cui la precarietà e l'instabilità personale e comunitaria sarà la regola; e se dovremo dare ai pochi che ancora si sposeranno una medaglia al valore civile.

Bene... mi sovviene ora alla mente che essendo diacono devo pregare anche per i propositori di questa norma... ma cosa chedere? Ci sono! ecco: «Confondi, Signore, le loro lingue!» (Salmo 54,10). Passando per Via del Corso e vedendo certi palazzi, come non rivolgere questa petizione al Sovrano dell'Universo? Con la speranza di essere esauditi...

venerdì 2 febbraio 2007

Dal greco al sardo

mentre preparavo l'esame che ho dato stamane, mi sono imbattuto nella parola greca "therápōn", che significa "servo". Bè, dobbiamo dire che non siamo lontani dal nostro teraccu.
Non è l'unico caso in cui Sardo e Greco si toccano. Mi vengono in mente ora, ma la lista è certamente più lunga, le parole apothēkē e pérdix, nonché epískopos, con i loro corrispondenti sardi potecaria, perdighe, piscamu.

A proposito di lingua sarda segnalo due siti che ho trovato interessanti:
Ditzionàriu Online
EST- Entziclopedia Temàtica Sarda

a presto

martedì 30 gennaio 2007

Sunday Telegraph 27/01: Il latino sta morendo

Ho appena letto un intervento di P. Reginald Foster, "latinista" del Papa. Egli mette in guardia dalla possibile - e purtroppo sempre più tangibile - perdita della lingua latina nella Chiesa, che precluderebbe l'accesso diretto a importanti fonti della tradizione vivente della fede cristiana, specialmente dal punto di vista teologico (e non solo, dico io).

Riporto alcuni pensieri:

"You cannot understand St Augustine in English. He thought in Latin. It is like listening to Mozart through a jukebox"

"We still speak Latin in the elevators and around the house in my monastery at San Pancrazio, just like 45 years ago. But nowadays the students don't get it, and I don't blame them – it's not their fault"

Italy is, however, different: all schoolchildren, except those who attend technical colleges, must be taught Latin for at least four hours a week until they are 18. But Fr Foster said the techniques used to teach Latin were outdated. "You need to present the language as a living thing," he said. "You do not need to be mentally excellent to know Latin. Prostitutes, beggars and pimps in Rome spoke Latin, so there must be some hope for us"

"It is dying in the Church. I'm not optimistic about Latin. The young priests and bishops are not studying it"

L'intero articolo si può leggere naturalmente sul sito del Telegraph

I miei esami procedono

sabato 27 gennaio 2007

"La vera dottrina spiegata alle ragazze"

Dall'11 novembre scorso, spesso il sabato Camillo Langone pubblica un articolo-lettera abbastanza lungo su una pagina del quotidiano "Il Foglio". Questo tipo di interventi costituisce una sorta di rubrica, dal titolo "La vera dottrina spiegata alle ragazze".
"Il Foglio quotidiano" - per quanto a volte si possa dissentire da questa o quella particolare opinione presente in pagina - credo rappresenti un fenomeno interessante nel panorama dei giornali italiani, perché succede, a differenza di quanto accade con altre testate, che uno lo compra e poi scopre che c'è qualcosa da leggere!!
Ebbene, in detta rubrica Camillo Langone scrive lettere ad alcune ragazze italiane - che lui afferma aver conosciuto personalmente - e con il suo stile particolarissimo e sempre "sopra le righe" introduce temi cruciali di vita cristiana, senza superficialità ma con un fare mai pedante e molto disinvolto, talvolta fin troppo.
Riporto di seguito il sommario con i titoli e i sottotitoli delle lettere-articolo finora pubblicati.
A chi fosse interessato posso spedire il file zip con tutte queste pagine in formato pdf (non credo di violare il copyright, in quanto si possono tranquillamente scaricare, previa sottoscrizione gratuita, da http://www.ilfoglio.it). Chi fosse interessato mi contatti alla mail dssebastiano CHIOCCIOLA gmail PUNTO com

Buone cose a tutti... io nel frattempo sto preparando i prossimi esami

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Sommario della rubrica


CRISTINA, METTITI LA CROCE
Si può portare Gesù morto come ornamento al collo, persino tra le tette? Langone risponde con dotta devozione
ANNO XI NUMERO 267 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 11 NOVEMBRE 2006

SARA, BATTEZZA TUO FIGLIO
Il battesimo non è né una laurea in teologia né la fine di un percorso: solo l’inizio.E il bello è che ci sono solo vantaggi
ANNO XI NUMERO 273 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 18 NOVEMBRE 2006

GRAZIA, IMPARA I DIECI COMANDAMENTI
Mia cara amica, ma tu credi davvero che sia così irrilevante sapere cosa è giusto fare e cosa invece no?
ANNO XI NUMERO 285 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 2 DICEMBRE 2006

GIOVANNA, FAI IL PRESEPE
L’albero lascialo perdere. Ricordati piuttosto che senza quel bambino e quella mangiatoia saresti ancora un’acciuga
ANNO XI NUMERO 291 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 9 DICEMBRE 2006

CARA MARTINA,VAI IN CHIESA
Perché mi fai disperare? La fede solitaria vissuta nell’intimità è un fenomeno moderno e antichissimo. Il problema è che il tuo Dio personale non funziona, per la semplice ragione che quel Dio non esiste
ANNO XI NUMERO 303 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 23 DICEMBRE 2006

PAOLA, LASCIATI BENEDIRE DAL PAPA
Tu forse no, ma i tuoi capelli sciolti e i tuoi pantaloni stretti sentono l’esigenza di quella finestra su piazza San Pietro
ANNO XII NUMERO 5 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 6 GENNAIO 2007

CARA MICHELA, FIDATI DELLA TRINITA’
Tu che vai in Darfur a fare l’anticonformista perché non torni qui a dire che l’aborto è un omicidio e che domenica è il giorno del Signore e i negozi vanno chiusi? Provaci davvero a fare l’anticonformista, vedrai come ti guardano
ANNO XII NUMERO 17 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 20 GENNAIO 2007

CARA ELISA, RISCOPRI L’EROS DI CRISTO
Amica mia, attenta: la religione non vuole frenare il tuo corpo. E’ vero che Gesù in fondo non era ossessionato dal sesso, ma non sai che il Vangelo dice che è un peccato non farlo?
ANNO XII NUMERO 23 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 27 GENNAIO 2007

sabato 20 gennaio 2007

ex Martyrologio Romano A. D. MMIV promulgato

Die 20 ianuarii

Tertiodécimo Kaléndas februárii. Luna secúnda.

Sancti Fabiáni, papæ et mártyris, qui láicus ad pontificátum divínitus est vocátus, et fídei ac virtútis gloriósum præbens exémplum, in persecutióne Décii imperatóris passus est; de eiúsdem agóne gratulátur sanctus Cypriánus quod in regénda Ecclésia irreprehensibile illustréque testimónium perfecísset. Eius corpus Romæ via Appia in cœmetério Callísti hac die depósitum est.

Sancti Sebastiáni, mártyris, qui, ex Medioláno oriúndus, ut refert sanctus Ambrósius, Romam proféctus est, quando persecutiónes acérbæ fervébant, ibíque passus est; ítaque in Urbe, quo hospes advénerat, domicílium immortalitátis perpétuæ obtínuit. Eius deposítio item Romæ ad Catacúmbas hac eádem die evénit.


domenica 14 gennaio 2007

riflessioni "a freddo" sul caso Welby

Eutanasia o accanimento terapeutico?
oggi navigando mi sono imbattuto in un articolo di Claudia Navarini che mi è parso molto saggio. Riporto alcune righe:

In attesa di ottenere l’abbassamento della soglia di resistenza dell’opinione pubblica e degli attori istituzionali e culturali, si insisterà nel chiedere non l’eutanasia – parola ancora sospetta – ma la “cessazione dell’accanimento terapeutico”. E così, cedendo sulla pretesa “necessità” di “una qualche regolamentazione” dell’accanimento, si regala ai fautori dell’eutanasia dapprima la voluta confusione sull’accanimento stesso e poi, fatalmente, una legge sull’eutanasia, magari preparata giuridicamente dai testamenti biologici e i loro immancabili “paletti severissimi”, ovvero quei limiti che, presentati come garanzie, indicano solo quale sarà il primo passo della successiva mossa propagandistica e legislativa

Tutto l'articolo si può leggere su:
http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=10355

A presto

sabato 6 gennaio 2007

una promessa

questi tre articoli li scrissi nella primavera del 2004, ma li ho voluti ripubblicare ora.

Naturalmente i post normali non saranno mai così lunghi.
Se capiterà di produrre qualcosa di lungo metto il link e lo andrà a vedere chi vuole.

A presto

Tra l’ortodossia e le eresie. Quasi una curiosità…

Tra le tante “chicche” del romanzo di Brown ce n’è una che, pur essendo semplicemente accennata, è importante per tenere in piedi la dottrina di Teabing e compagni:

«Ti faccio notare un aspetto interessante» intervenne Langdon. «Chi sceglieva i vangeli proibiti invece della versione di Costantino era definito eretico. L’origine del termine “eretico” risale a quel momento della storia. La parola latina haereticus deriva da “scelta”. Coloro che sceglievano la storia originale di Cristo furono i primi eretici del mondo.»[1]

In questo contributo ci soffermeremo brevemente su questa affermazione, per vedere cosa c’è dietro. Iniziamo a schematizzare quanto appena riportato. Il testo dice che: 1) l’appellativo di eretico spettava a chi sceglieva i vangeli apocrifi; 2) questo termine nasce sotto l’impero di Costantino; 3) la parola latina haereticus deriva da “scelta”.

Il concetto tradizionale di eresia è quello di deviazione dalla dottrina comunemente accettata dalla comunità ecclesiale nel suo insieme. Secondo questa definizione si sarebbe dapprima formata l’ortodossia, cioè la retta dottrina discendente dagli Apostoli e da questi trasmessa ai loro successori, e in seguito qualcuno gli avrebbe opposto dubbi o resistenze. Tale idea è già ben chiara e articolata quando Tertulliano scrive, verso il 200, il trattato De praescritione haereticorum, ed è rimasta sostanzialmente accettata da tutti fino all’inizio del secolo scorso. Risale infatti al 1934 la prima edizione della capitale opera di Water Bauer[2] che poneva tutta la questione sotto termini completamente diversi: secondo lo studioso, nel primo secolo dell’era cristiana ogni comunità aveva una dottrina differente dalle altre, e solo nel secolo successivo la Chiesa di Roma avrebbe fatto valere il suo peso politico ed economico emarginando le “ortodossie” delle comunità periferiche che furono via via abbandonate da tutti e qualificate infine come “eresie”. L’italiano Manlio Simonetti, in un importante articolo del 1992[3], ha dimostrato che il processo di formazione dell’ortodossia va collocato sì nel II secolo, ma non come soppressione di pensieri legittimi all’interno della cristianità, bensì in risposta alle prime due “crisi” che questa dovette attraversare, che a ben vedere hanno entrambe radici nel I secolo: da una parte la volontà dei giudaizzanti, già stigmatizzata da San Paolo, che inquadravano il cristianesimo come una semplice scuola di pensiero all’interno dell’ebraismo, dall’altra la deriva tutta ellenica dello gnosticismo, che negava l’identificazione tra il Dio Creatore (secondo loro un demiurgo malvagio) e il Dio Padre di Gesù Cristo. Lo studioso fa notare che nella lotta contro queste dottrine ci sia un vasto consenso fra esponenti di svariate aree del mondo allora conosciuto: è quantomeno sintomatico che due autori distanti fra loro, come Ireneo (che proviene dall’Asia Minore ed è Vescovo a Lione, in Gallia) e Origene (di Alessandria d’Egitto) usino, davanti a queste problematiche, argomenti molto simili. Nell’ambito di tutta questa riflessione teologica, che porterà al raggiungimento di uno scheletro molto essenziale di ortodossia alla fine del II secolo[4], Roma è certamente una delle aree più marginali, benché non sia del tutto assente e benché questo non significhi che non fosse tenuta in grande considerazione fin dagli albori del cristianesimo.

Quanto alla parola eresia / eretico, la questione si dispiega in un arco temporale più vasto. Nel greco classico aresij non ha assolutamente un’accezione negativa, ma indica semplicemente la “scelta” di un particolare pensiero, una corrente filosofica o fazione politica[5]. Questa accezione neutra del termine si trova anche negli Atti degli Apostoli, ad esempio quando si indicano le varie componenti del sinedrio giudaico, come «la parte dei Sadducei»[6], o «la parte dei Farisei»[7]; addirittura haíresis identifica a volte la “parte” cristiana[8]. Tuttavia in altri scritti del Nuovo Testamento il termine sembra caricarsi di un significato negativo: indica le divisioni nella comunità[9], rientra nell’elenco delle «opere della carne» contrapposte alle «opere dello spirito»[10], fino a giungere, con il corrispondente aggettivo eretico, alla negativa accezione tecnica che avrà nel cristianesimo e nella teologia successiva: «Dopo un primo e un secondo ammonimento evita l’uomo eretico (hairetikòn ánthrōpon), sapendo che un tale individuo è ormai pervertito e continuerà a peccare condannandosi da sé medesimo»[11].

Vi è poi da notare che la nuova coloritura non prescinde dal senso etimologico, perché come è vero che aƒršw significa “scegliere”, così l’eretico in senso stretto opera una scelta fra le verità di fede, optando per una a scapito dell’altra, ingigantendo un aspetto e tralasciandone un altro[12].

Al termine di questa breve nota su ortodossia ed eresia, tracciamo un bilancio in riferimento alla citata posizione di Dan Brown. Avevamo individuato tre affermazioni ben definite, la prima delle quali associava l’idea dell’eretico alla scelta dei vangeli apocrifi. A questo proposito sarà utile ricordare due esempi. Il primo è quello di Marcione, che fu condannato dalla comunità di Roma nel 144. Costui non solo non optò per i vangeli apocrifi, ma ridusse tutta la Sacra Scrittura al Vangelo, un libro che riportava l’opera di San Luca, e all’Apostolico, con gli scritti di san Paolo: entrambe queste parti furono da lui “purificate” da quelle che riteneva infiltrazioni giudaiche, per cui il risultato finale fu quello di avere le sole composizioni di Luca e Paolo, e per giunta abbondantemente mutilate. Altro che i “più di ottanta vangeli” e la varietà degli scritti tanto decantata da Brown! Il secondo esempio è quello dell’eretico che più ha fatto penare la Chiesa, gettandola in uno stato molto simile a quello di una guerra civile: Ario. Il negatore della piena divinità di Cristo fondava la sua tesi semplicemente… sulla Sacra Scrittura, sugli stessi testi usati dai suoi oppositori. E il brano da lui preferito nell’argomentazione non era un Vangelo, ma un libro dell’Antico Testamento. Cade così il collegamento diretto fra l’eretico e la scelta dei vangeli apocrifi. È vero che abbiamo il caso delle sette gnostiche, ma l’essere eretico non significa semplicemente scegliere i vangeli non riconosciuti dalla Chiesa.

Abbiamo visto poi che il termine eretico, anche nella sua accezione negativa assunta nel cristianesimo, precede sicuramente Costantino: la lettera a Tito con le indicazioni sull’hairetikòn ánthrōpon risale al più tardi alla fine del I secolo, comunque più di 200 anni prima dell’epoca costantiniana! E, infine, per vedere che la parola haereticus, pur assunta dal latino, non è in origine latina, basterà aprire un qualunque dizionario di greco.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003, p. 275.

[2] W. Bauer, Orthodoxy and Heresy in Earliest Christianity, tr. ingl. Philadelphia Seminar in Christian Origins, Sigler Press, Mifflintown (PA) 1996. Si tratta dell’ultima edizione dell’opera con un’importante appendice (comparso per la prima volta nel 1964 e ora aumentato) sulla ricezione del libro presso la comunità scientifica.

[3] M. Simonetti, Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, in Vetera Christianorum 29 (1992), pp. 359-389.

[4] Identità fra il Creatore e il Padre di Gesù Cristo (e quindi accettazione dell’Antico Testamento), divinità e reale corporeità di Cristo, articolazione trinitaria di Dio, attività soteriologica di Cristo, libertà e responsabilità morale dell’uomo, giudizio finale: Cf. ib., p. 388.

[5] Cf., a titolo esemplicativo e non esaustivo, Platone, Gorgia, 456a 1; Demostene, Adversus Androtionem, 48, 6.

[6] At 5,17.

[7] At 15,5.

[8] At 24,5.14; 28,22.

[9] 1Cor 11,19 mantiene un tono abbastanza neutro; 2Pt 2,1 invece qualifica queste divisioni come “perniciose”.

[10] Gal 5,20.

[11] Tt 3,10. Traduzione NVB.

[12] Una buona sintesi di tutta la quérelle fin qui esposta si trova in L. Casula, Leone Magno, il conflitto fra ortodossia ed eresia nel quinto secolo, Tiellemedia editore, Roma 2002, pp. 64-70, spec. n. 103. Il paragrafo 5 del primo capitolo porta proprio il titolo «Ortodossia ed eresia»