Tra le tante “chicche” del romanzo di Brown ce n’è una che, pur essendo semplicemente accennata, è importante per tenere in piedi la dottrina di Teabing e compagni:
«Ti faccio notare un aspetto interessante» intervenne Langdon. «Chi sceglieva i vangeli proibiti invece della versione di Costantino era definito eretico. L’origine del termine “eretico” risale a quel momento della storia. La parola latina haereticus deriva da “scelta”. Coloro che sceglievano la storia originale di Cristo furono i primi eretici del mondo.»[1]
In questo contributo ci soffermeremo brevemente su questa affermazione, per vedere cosa c’è dietro. Iniziamo a schematizzare quanto appena riportato. Il testo dice che: 1) l’appellativo di eretico spettava a chi sceglieva i vangeli apocrifi; 2) questo termine nasce sotto l’impero di Costantino; 3) la parola latina haereticus deriva da “scelta”.
Il concetto tradizionale di eresia è quello di deviazione dalla dottrina comunemente accettata dalla comunità ecclesiale nel suo insieme. Secondo questa definizione si sarebbe dapprima formata l’ortodossia, cioè la retta dottrina discendente dagli Apostoli e da questi trasmessa ai loro successori, e in seguito qualcuno gli avrebbe opposto dubbi o resistenze. Tale idea è già ben chiara e articolata quando Tertulliano scrive, verso il 200, il trattato De praescritione haereticorum, ed è rimasta sostanzialmente accettata da tutti fino all’inizio del secolo scorso. Risale infatti al 1934 la prima edizione della capitale opera di Water Bauer[2] che poneva tutta la questione sotto termini completamente diversi: secondo lo studioso, nel primo secolo dell’era cristiana ogni comunità aveva una dottrina differente dalle altre, e solo nel secolo successivo la Chiesa di Roma avrebbe fatto valere il suo peso politico ed economico emarginando le “ortodossie” delle comunità periferiche che furono via via abbandonate da tutti e qualificate infine come “eresie”. L’italiano Manlio Simonetti, in un importante articolo del 1992[3], ha dimostrato che il processo di formazione dell’ortodossia va collocato sì nel II secolo, ma non come soppressione di pensieri legittimi all’interno della cristianità, bensì in risposta alle prime due “crisi” che questa dovette attraversare, che a ben vedere hanno entrambe radici nel I secolo: da una parte la volontà dei giudaizzanti, già stigmatizzata da San Paolo, che inquadravano il cristianesimo come una semplice scuola di pensiero all’interno dell’ebraismo, dall’altra la deriva tutta ellenica dello gnosticismo, che negava l’identificazione tra il Dio Creatore (secondo loro un demiurgo malvagio) e il Dio Padre di Gesù Cristo. Lo studioso fa notare che nella lotta contro queste dottrine ci sia un vasto consenso fra esponenti di svariate aree del mondo allora conosciuto: è quantomeno sintomatico che due autori distanti fra loro, come Ireneo (che proviene dall’Asia Minore ed è Vescovo a Lione, in Gallia) e Origene (di Alessandria d’Egitto) usino, davanti a queste problematiche, argomenti molto simili. Nell’ambito di tutta questa riflessione teologica, che porterà al raggiungimento di uno scheletro molto essenziale di ortodossia alla fine del II secolo[4], Roma è certamente una delle aree più marginali, benché non sia del tutto assente e benché questo non significhi che non fosse tenuta in grande considerazione fin dagli albori del cristianesimo.
Quanto alla parola eresia / eretico, la questione si dispiega in un arco temporale più vasto. Nel greco classico a†resij non ha assolutamente un’accezione negativa, ma indica semplicemente la “scelta” di un particolare pensiero, una corrente filosofica o fazione politica[5]. Questa accezione neutra del termine si trova anche negli Atti degli Apostoli, ad esempio quando si indicano le varie componenti del sinedrio giudaico, come «la parte dei Sadducei»[6], o «la parte dei Farisei»[7]; addirittura haíresis identifica a volte la “parte” cristiana[8]. Tuttavia in altri scritti del Nuovo Testamento il termine sembra caricarsi di un significato negativo: indica le divisioni nella comunità[9], rientra nell’elenco delle «opere della carne» contrapposte alle «opere dello spirito»[10], fino a giungere, con il corrispondente aggettivo eretico, alla negativa accezione tecnica che avrà nel cristianesimo e nella teologia successiva: «Dopo un primo e un secondo ammonimento evita l’uomo eretico (hairetikòn ánthrōpon), sapendo che un tale individuo è ormai pervertito e continuerà a peccare condannandosi da sé medesimo»[11].
Vi è poi da notare che la nuova coloritura non prescinde dal senso etimologico, perché come è vero che aƒršw significa “scegliere”, così l’eretico in senso stretto opera una scelta fra le verità di fede, optando per una a scapito dell’altra, ingigantendo un aspetto e tralasciandone un altro[12].
Al termine di questa breve nota su ortodossia ed eresia, tracciamo un bilancio in riferimento alla citata posizione di Dan Brown. Avevamo individuato tre affermazioni ben definite, la prima delle quali associava l’idea dell’eretico alla scelta dei vangeli apocrifi. A questo proposito sarà utile ricordare due esempi. Il primo è quello di Marcione, che fu condannato dalla comunità di Roma nel 144. Costui non solo non optò per i vangeli apocrifi, ma ridusse tutta la Sacra Scrittura al Vangelo, un libro che riportava l’opera di San Luca, e all’Apostolico, con gli scritti di san Paolo: entrambe queste parti furono da lui “purificate” da quelle che riteneva infiltrazioni giudaiche, per cui il risultato finale fu quello di avere le sole composizioni di Luca e Paolo, e per giunta abbondantemente mutilate. Altro che i “più di ottanta vangeli” e la varietà degli scritti tanto decantata da Brown! Il secondo esempio è quello dell’eretico che più ha fatto penare la Chiesa, gettandola in uno stato molto simile a quello di una guerra civile: Ario. Il negatore della piena divinità di Cristo fondava la sua tesi semplicemente… sulla Sacra Scrittura, sugli stessi testi usati dai suoi oppositori. E il brano da lui preferito nell’argomentazione non era un Vangelo, ma un libro dell’Antico Testamento. Cade così il collegamento diretto fra l’eretico e la scelta dei vangeli apocrifi. È vero che abbiamo il caso delle sette gnostiche, ma l’essere eretico non significa semplicemente scegliere i vangeli non riconosciuti dalla Chiesa.
Abbiamo visto poi che il termine eretico, anche nella sua accezione negativa assunta nel cristianesimo, precede sicuramente Costantino: la lettera a Tito con le indicazioni sull’hairetikòn ánthrōpon risale al più tardi alla fine del I secolo, comunque più di 200 anni prima dell’epoca costantiniana! E, infine, per vedere che la parola haereticus, pur assunta dal latino, non è in origine latina, basterà aprire un qualunque dizionario di greco.
[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003, p. 275.
[2] W. Bauer, Orthodoxy and Heresy in Earliest Christianity, tr. ingl. Philadelphia Seminar in Christian Origins, Sigler Press, Mifflintown (PA) 1996. Si tratta dell’ultima edizione dell’opera con un’importante appendice (comparso per la prima volta nel 1964 e ora aumentato) sulla ricezione del libro presso la comunità scientifica.
[3] M. Simonetti, Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, in Vetera Christianorum 29 (1992), pp. 359-389.
[4] Identità fra il Creatore e il Padre di Gesù Cristo (e quindi accettazione dell’Antico Testamento), divinità e reale corporeità di Cristo, articolazione trinitaria di Dio, attività soteriologica di Cristo, libertà e responsabilità morale dell’uomo, giudizio finale: Cf. ib., p. 388.
[5] Cf., a titolo esemplicativo e non esaustivo, Platone, Gorgia, 456a 1; Demostene, Adversus Androtionem, 48, 6.
[6] At 5,17.
[7] At 15,5.
[8] At 24,5.14; 28,22.
[9] 1Cor 11,19 mantiene un tono abbastanza neutro; 2Pt 2,1 invece qualifica queste divisioni come “perniciose”.
[10] Gal 5,20.
[11] Tt 3,10. Traduzione NVB.
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