Giorni convulsi:
Il New York Times attacca il Papa dicendo che avrebbe insabbiato un caso.
Peccato che il tutto si basi su una notizia data senza accurata verifica delle fonti originali.
Su questo:
http://www.paolorodari.com/2010/04/06/quello-che-il-nyt-non-traduce-sorpresa-il-vaticano-non-insabbio-su-murphy-tutta-colpa-del-computer/
e ancora:
http://www.paolorodari.com/2010/04/06/quante-sono-le-balle-del-nyt/
e più dettagliatamente:
http://idlespeculations-terryprest.blogspot.com/2010/04/should-we-blame-yahoo.html
Non contenti di avere buttato a mare l'accuratezza, elemento che dovrebbe essere fondamentale per un buon giornalista, ecco che ora pretendono di spacciare per "notizie fresche" casi che il Santo Padre e la Santa Sede ha già risolto da mesi.
due giorni fa una "notizia" di un caso risolto nel MAGGIO - GIUGNO 2009
ecco la "notizia" ... ed ecco i provvedimenti (come ricordato da Padre Lombardi);
oggi la "notizia" ci informa di un caso risolto nel SETTEMBRE 2009
ecco la "notizia" ed ecco i provvedimenti
e questi sarebbero giornalisti?
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venerdì 9 aprile 2010
mercoledì 24 marzo 2010
sabato 13 febbraio 2010
Ottimo Camisasca su Avvenire di ieri
IDEE
Il sacerdote del 2000? Deve studiare di più
Studiano i preti? Nella mia abbastanza lunga vita sacerdotale, non ho incontrato molti fratelli che riservassero allo studio un tempo adeguato. Eppure lo studio è una necessità che nasce dal silenzio, di cui è come una prosecuzione. Perché studiare quando non ci sono più esami da dare, traguardi da raggiungere, quando premono attività e necessità, quando le persone esigono da noi il nostro tempo? Non è forse lo studio un’assenza di carità, che ci sottrae alle ferite urgenti delle persone? La risposta non può che essere negativa. Senza prolungare il silenzio nello studio, a poco a poco si inaridisce in noi la consapevolezza di ciò che ci è accaduto.
Contrariamente a quanto molti credono, persino nelle origini francescane, quando alcuni frati contrapponevano allo studio umiltà e povertà, veniva risposto autorevolmente che senza lo studio non ci si può cibare della Parola di Dio, e quindi non si può vivere la vita religiosa. Le parole si faranno ripetitive ed aride, e infine diventeremo dei preti insignificanti. Se vogliamo conoscere Dio e noi stessi, dobbiamo anche studiare. Lo studio è un lavoro che ci permette di penetrare nella nostra vita, di assimilare quella scienza di Cristo e quella scienza dell’uomo che costituiscono il livello per noi più alto e più interessante della conoscenza.
Jean Leclercq, grande studioso di san Bernardo, ha scritto un libro in cui riassume tutta la sapienza monastica fatta di studio e di preghiera, oltre che di lavoro manuale, e lo ha significativamente intitolato: L’amour des lettres et le désir de Dieu. Lo studio non parte dal nulla, ma da qualcosa che ci è accaduto. Per noi sacerdoti, lo studio è un approfondimento della fede. Ricordiamo la formula usata da sant’Anselmo, che in realtà riprende tutta la tradizione agostiniana: «Fides quaerens intellectum».
Non dobbiamo pensare che mettere la fede all’origine dello studio immiserisca o rattrappisca la nostra ricerca razionale. La fede non è un bagaglio di nozioni, è innanzitutto un incontro, l’incontro con colui che è «il centro del cosmo e della storia». Lo studio è dunque un rapporto con cose e persone che non abbiamo ancora conosciuto o abbiamo conosciuto male. Con il presente, con il passato, con le grandi voci della storia, con coloro che possono farci crescere. «Siamo come nani sulle spalle di giganti», e quindi possiamo vedere più lontano di coloro che ci hanno preceduto. È la straordinaria espressione di Giovanni di Salisbury.
Lo studio implica una lunga e paziente stratificazione di conoscenze, e anche alcune scelte a riguardo delle priorità delle proprie occupazioni. Dobbiamo rivolgerci a libri che ci aiutino ad una familiarità con la Sacra Scrittura, che ci diano il gusto della storia di Dio, alle opere di studiosi che, senza essere chiusi alle ricerche più recenti, siano attenti alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa. Voglio soffermarmi sull’importanza della lettura dei classici.
Penso a Omero, Virgilio, Cicerone, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso…, fino ai tempi a noi più vicini. I classici sono gli scrittori attuali in ogni epoca della storia, che hanno saputo essere maestri di ogni tempo. Proprio grazie alla loro capacità di cogliere ciò che è veramente essenziale alla vita di ogni uomo, essi non si arrestano alla superficie dell’essere, ma sanno introdurci nel cuore pulsante della vita e dell’umanità di Dio. Tra i classici, occupano un posto di particolare importanza i Padri della Chiesa. Essi ci accompagnano in quella visione unitaria della Scrittura che oggi si è decisamente persa. Più si va avanti negli anni, più la storia della Chiesa si arricchisce di nuovi volti e protagonisti, più ci si rende conto che il loro insegnamento rimane insostituibile.
In vista dell’omelia domenicale, occorrono una preparazione lontana e una vicina. Quella lontana è lo studio, la meditazione che non si interrompe mai lungo l’arco degli anni. Quella vicina si compie prendendo in considerazione i testi specifici della liturgia di quel giorno e domandandoci che cosa essi ci vogliano comunicare.
San Paolo dice che la fede nasce dall’ascolto (Rm 10,17), cioè dalla meditazione. Mentre i Greci privilegiavano il vedere, la tradizione giudaico-cristiana privilegia l’ascolto. È l’udire il fondamentale rapporto tra maestro, testimone e discepolo. Per parlare agli uomini, Dio si è fatto uomo, ha scelto la strada del rapporto personale, ha deciso di parlare cuore a cuore, di diventare realtà sperimentabile per gli uomini di ogni tempo. Poiché la fede è un avvenimento, non è mai possibile evitare questa dinamica. Preparare l’omelia vuol dire, innanzitutto, chiedersi: qual è l’esperienza che voglio trasmettere?
Nella sua Lettera settima, Platone sosteneva che le cose importanti devono essere affidate al dialogo orale. E Søren Kierkegaard, ne La scuola di cristianesimo, ha detto che esso non può vivere se non come provocazione di un Principio che arriva al presente attraverso l’esistenza di un vicino. Cicerone non avrebbe avuto su sant’Agostino e san Bernardo l’influenza che ebbe, se non fosse stato conosciuto innanzitutto come maestro di retorica.
E Agostino si convertì ascoltando le omelie di Ambrogio. La comunicazione diretta fu l’arma di san Domenico, che fondò addirittura l’ordine dei predicatori, e di san Francesco, che andò di persona a parlare al sultano. Anche l’età moderna è stata segnata dalla predicazione: che cosa sarebbe stato il cristianesimo fra il Quattrocento e il Seicento senza Savonarola, Bernardino da Siena, Francesco Saverio e Bossuet? Tutti siamo ancora impressionati dalla capacità comunicativa di Giovanni Paolo II e di don Giussani.
Non dimentichiamo che ex abundantia cordis os loquitur (Mt 12,34): la parola rivela quello che c’è o non c’è dentro di noi. Non si può comunicare se non per una sovrabbondanza di esperienza. Essa determinerà il tono delle mie parole, i gesti che le accompagneranno, l’ordine dell’esposizione. Prima di parlare occorre scegliere cosa dire, cosa privilegiare. Avere chiaro qual è il punto centrale che deve passare da me ai miei ascoltatori. Questo implica anche decidere cosa non dire o cosa comunicare in un’altra occasione. Non tutto infatti può e deve essere detto: un’omelia non è una lezione di scuola. Bisogna imparare a non dire, per dare rilievo a ciò che si dice.
Concretamente, suggerisco di annunciare il tema all’inizio, per esempio sottolineando una frase del testo che si vuole commentare. Svilupparlo poi con degli esempi. È molto importante l’enfasi su frasi e parole che possano essere ricordate. Infine, una conclusione: un riassunto oppure una domanda, un rinvio ad altro per far proseguire la riflessione. C’è una sola strada per imparare a comunicare: cominciare ad ascoltare, ascoltare chi ci colpisce. E poi correre il rischio di esprimere ciò che si è incontrato e urge dentro di noi perché vuole essere comunicato.
Contrariamente a quanto molti credono, persino nelle origini francescane, quando alcuni frati contrapponevano allo studio umiltà e povertà, veniva risposto autorevolmente che senza lo studio non ci si può cibare della Parola di Dio, e quindi non si può vivere la vita religiosa. Le parole si faranno ripetitive ed aride, e infine diventeremo dei preti insignificanti. Se vogliamo conoscere Dio e noi stessi, dobbiamo anche studiare. Lo studio è un lavoro che ci permette di penetrare nella nostra vita, di assimilare quella scienza di Cristo e quella scienza dell’uomo che costituiscono il livello per noi più alto e più interessante della conoscenza.
Jean Leclercq, grande studioso di san Bernardo, ha scritto un libro in cui riassume tutta la sapienza monastica fatta di studio e di preghiera, oltre che di lavoro manuale, e lo ha significativamente intitolato: L’amour des lettres et le désir de Dieu. Lo studio non parte dal nulla, ma da qualcosa che ci è accaduto. Per noi sacerdoti, lo studio è un approfondimento della fede. Ricordiamo la formula usata da sant’Anselmo, che in realtà riprende tutta la tradizione agostiniana: «Fides quaerens intellectum».
Non dobbiamo pensare che mettere la fede all’origine dello studio immiserisca o rattrappisca la nostra ricerca razionale. La fede non è un bagaglio di nozioni, è innanzitutto un incontro, l’incontro con colui che è «il centro del cosmo e della storia». Lo studio è dunque un rapporto con cose e persone che non abbiamo ancora conosciuto o abbiamo conosciuto male. Con il presente, con il passato, con le grandi voci della storia, con coloro che possono farci crescere. «Siamo come nani sulle spalle di giganti», e quindi possiamo vedere più lontano di coloro che ci hanno preceduto. È la straordinaria espressione di Giovanni di Salisbury.
Lo studio implica una lunga e paziente stratificazione di conoscenze, e anche alcune scelte a riguardo delle priorità delle proprie occupazioni. Dobbiamo rivolgerci a libri che ci aiutino ad una familiarità con la Sacra Scrittura, che ci diano il gusto della storia di Dio, alle opere di studiosi che, senza essere chiusi alle ricerche più recenti, siano attenti alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa. Voglio soffermarmi sull’importanza della lettura dei classici.
Penso a Omero, Virgilio, Cicerone, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso…, fino ai tempi a noi più vicini. I classici sono gli scrittori attuali in ogni epoca della storia, che hanno saputo essere maestri di ogni tempo. Proprio grazie alla loro capacità di cogliere ciò che è veramente essenziale alla vita di ogni uomo, essi non si arrestano alla superficie dell’essere, ma sanno introdurci nel cuore pulsante della vita e dell’umanità di Dio. Tra i classici, occupano un posto di particolare importanza i Padri della Chiesa. Essi ci accompagnano in quella visione unitaria della Scrittura che oggi si è decisamente persa. Più si va avanti negli anni, più la storia della Chiesa si arricchisce di nuovi volti e protagonisti, più ci si rende conto che il loro insegnamento rimane insostituibile.
In vista dell’omelia domenicale, occorrono una preparazione lontana e una vicina. Quella lontana è lo studio, la meditazione che non si interrompe mai lungo l’arco degli anni. Quella vicina si compie prendendo in considerazione i testi specifici della liturgia di quel giorno e domandandoci che cosa essi ci vogliano comunicare.
San Paolo dice che la fede nasce dall’ascolto (Rm 10,17), cioè dalla meditazione. Mentre i Greci privilegiavano il vedere, la tradizione giudaico-cristiana privilegia l’ascolto. È l’udire il fondamentale rapporto tra maestro, testimone e discepolo. Per parlare agli uomini, Dio si è fatto uomo, ha scelto la strada del rapporto personale, ha deciso di parlare cuore a cuore, di diventare realtà sperimentabile per gli uomini di ogni tempo. Poiché la fede è un avvenimento, non è mai possibile evitare questa dinamica. Preparare l’omelia vuol dire, innanzitutto, chiedersi: qual è l’esperienza che voglio trasmettere?
Nella sua Lettera settima, Platone sosteneva che le cose importanti devono essere affidate al dialogo orale. E Søren Kierkegaard, ne La scuola di cristianesimo, ha detto che esso non può vivere se non come provocazione di un Principio che arriva al presente attraverso l’esistenza di un vicino. Cicerone non avrebbe avuto su sant’Agostino e san Bernardo l’influenza che ebbe, se non fosse stato conosciuto innanzitutto come maestro di retorica.
E Agostino si convertì ascoltando le omelie di Ambrogio. La comunicazione diretta fu l’arma di san Domenico, che fondò addirittura l’ordine dei predicatori, e di san Francesco, che andò di persona a parlare al sultano. Anche l’età moderna è stata segnata dalla predicazione: che cosa sarebbe stato il cristianesimo fra il Quattrocento e il Seicento senza Savonarola, Bernardino da Siena, Francesco Saverio e Bossuet? Tutti siamo ancora impressionati dalla capacità comunicativa di Giovanni Paolo II e di don Giussani.
Non dimentichiamo che ex abundantia cordis os loquitur (Mt 12,34): la parola rivela quello che c’è o non c’è dentro di noi. Non si può comunicare se non per una sovrabbondanza di esperienza. Essa determinerà il tono delle mie parole, i gesti che le accompagneranno, l’ordine dell’esposizione. Prima di parlare occorre scegliere cosa dire, cosa privilegiare. Avere chiaro qual è il punto centrale che deve passare da me ai miei ascoltatori. Questo implica anche decidere cosa non dire o cosa comunicare in un’altra occasione. Non tutto infatti può e deve essere detto: un’omelia non è una lezione di scuola. Bisogna imparare a non dire, per dare rilievo a ciò che si dice.
Concretamente, suggerisco di annunciare il tema all’inizio, per esempio sottolineando una frase del testo che si vuole commentare. Svilupparlo poi con degli esempi. È molto importante l’enfasi su frasi e parole che possano essere ricordate. Infine, una conclusione: un riassunto oppure una domanda, un rinvio ad altro per far proseguire la riflessione. C’è una sola strada per imparare a comunicare: cominciare ad ascoltare, ascoltare chi ci colpisce. E poi correre il rischio di esprimere ciò che si è incontrato e urge dentro di noi perché vuole essere comunicato.
Massimo Camisasca
http://www.avvenire.it/Chiesa/Il+sacerdote+del+2000+Deve+studiare+di+pi_201002120905408800000.htm
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mercoledì 11 novembre 2009
A proposito del crocifisso nei luoghi pubblici
VIAGGIO APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
IN AUSTRIA (19-21 GIUGNO 1998)
SANTA MESSA CON BEATIFICAZIONI DEI SERVI DI DIO:
JAKOB KERN, RESTITUTA KAFKA E ANTON MARIA SCHWARTZ
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
21 Giugno 1998
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
IN AUSTRIA (19-21 GIUGNO 1998)
SANTA MESSA CON BEATIFICAZIONI DEI SERVI DI DIO:
JAKOB KERN, RESTITUTA KAFKA E ANTON MARIA SCHWARTZ
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
21 Giugno 1998
( ... )
7. Suor Restituta Kafka non era ancora maggiorenne, quando espresse la sua intenzione di entrare in convento. I genitori si opposero, ma la giovane restò fedele al suo obiettivo di farsi suora "per amore di Dio e degli uomini". Voleva servire il Signore specialmente nei poveri e nei malati. Ella trovò accoglienza presso le Suore Francescane della Carità per realizzare la sua vocazione nel quotidiano impegno ospedaliero, spesso duro e monotono. Autentica infermiera, diventò presto a Mödling un'istituzione. La sua competenza infermieristica, la sua risolutezza e la sua cordialità fecero sì che molti la chiamassero suor Resoluta e non suor Restituta.
Per il suo coraggio e il suo animo deciso essa non volle tacere neanche di fronte al regime nazionalsocialista. Sfidando i divieti dell'autorità politica, suor Restituta fece appendere in tutte le stanze dell'ospedale dei Crocifissi. Il mercoledì delle Ceneri del 1942 venne portata via dalla Gestapo. In prigione cominciò per lei un "Calvario" che durò più di un anno, per concludersi alla fine sul patibolo. Le sue ultime parole a noi trasmesse furono: "Ho vissuto per Cristo, voglio morire per Cristo!"
Guardando alla Beata suor Restituta, possiamo intravedere a quali vette di maturità interiore una persona può essere condotta dalla mano divina. Essa rischiò la vita con la sua testimonianza per il Crocifisso. E il Crocifisso conservò nel suo cuore testimoniandolo di nuovo poco prima di essere condotta all'esecuzione capitale, quando chiese al cappellano carcerario di farle "il segno della croce sulla fronte".
Tante cose possono essere tolte a noi cristiani. Ma la croce come segno di salvezza non ce la faremo togliere. Non permetteremo che essa venga esclusa dalla vita pubblica! Ascolteremo la voce della coscienza che dice: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!" (At 5,29).
( ... )
La Chiesa di oggi non ha bisogno di cattolici part-time ma di cristiani a tempo pieno. Tali sono stati i tre nuovi Beati! Da loro possiamo prendere le misure.
Grazie, Beato Jakob Kern, per la tua fedeltà sacerdotale!
Grazie, Beato Anton Maria Schwartz, per il tuo impegno per gli operai!
Grazie, suor Restituta Kafka, per la tua resistenza alla moda del momento!
Voi tutti Santi e Beati, pregate per noi. Amen.
© Copyright 1998 - Libreria Editrice Vaticana
L'intera omelia si trova su http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/documents/hf_jp-ii_hom_21061998_austria-beatification_it.html
L'intera omelia si trova su http://www.vatican.va/holy_
lunedì 5 ottobre 2009
Psicologa: "Sconfitta per i figli del 68. Fai la mamma? Smetti di lavorare"
Un'intervista interessante, che in parte condivido
http://www.ilgiornale.it/interni/psicologa_sconfitta_figli_68_fai_mamma_smetti_lavorare/05-10-2009/articolo-id=388279-page=0
http://www.ilgiornale.it/interni/psicologa_sconfitta_figli_68_fai_mamma_smetti_lavorare/05-10-2009/articolo-id=388279-page=0
mercoledì 30 settembre 2009
Risorgimento?
Sul Foglio di Sabato 26 settembre, inserto XI, vale la pena leggere un interessantissimo articolo di Francesco Agnoli: Abbasso il Risorgimento. In vista delle celebrazioni per l'Unità d'Italia, una voce contromano spiega perché questo mito non s'ha da festeggiare. I misfatti di Cavour e Garibaldi
http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=NI0MG
http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=NI0MG
mercoledì 19 agosto 2009
Benvenuta anche alla retorica leghista, se serve per rompere i tabù
Oggi, su corriere.it la lettera di uno studente leghista dal titolo "Io, studente leghista, Perché mi vergogno dell’Unità d’Italia". La risposta di Galli della Loggia non mi convince, specie nella prima parte.
Devo dire - sarà questione di età - che mi pare infinitamente meno peggio la retorica delle camicie verdi padane (di cui certo non condivido alcuni annessi e connessi) di quella polverosa e istituzionale delle camicie rosse garibaldine.
Per un'analisi un po' più seria e distesa del cosiddetto risorgimento, colgo l'occasione per segnalare la produzione della prof.ssa Angela Pellicciari
Devo dire - sarà questione di età - che mi pare infinitamente meno peggio la retorica delle camicie verdi padane (di cui certo non condivido alcuni annessi e connessi) di quella polverosa e istituzionale delle camicie rosse garibaldine.
Per un'analisi un po' più seria e distesa del cosiddetto risorgimento, colgo l'occasione per segnalare la produzione della prof.ssa Angela Pellicciari
mercoledì 12 agosto 2009
Nazismo e nichilsmo, le parole del Papa e il dibattito
Domenica il Santo Padre si è espresso così a Castel Gandolfo:
(per il testo intero clicca qui)
Ne sono seguiti, sulla stampa, alcuni interventi pro e contro il Pontefice:
Reale http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=N415U
Severino http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=N415Y
Guerriero http://www.ilfoglio.it/soloqui/3116
Sofri http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=N49VD
Ferrara http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefnazionale/PDF/2009/2009-08-12/2009081213464880.pdf
Volontè http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=N4KRW
Prosegue in alcuni casi la PESSIMA abitudine di commentare le parole del Papa così come vengono riportate dalle agenzie, senza effettuare un riscontro alla fonte diretta. Il riscontro peraltro sarebbe semplicissimo, essendo pubblicata sul sito della Santa Sede www.vatican.va ogni virgola che il Papa pronuncia in pubblico. E per giunta si riportano tra virgolette le parole attribuite indebitamente al Santo Padre.
Insomma, si crea un falso.
(per il testo intero clicca qui)
(...) I lager nazisti, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell’inferno che si apre sulla terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte. Purtroppo però questo triste fenomeno non è circoscritto ai lager. Essi sono piuttosto la punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti. I santi, che ho brevemente ricordato, ci fanno riflettere sulle profonde divergenze che esistono tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta ad un punto cruciale, come grandi letterati e pensatori hanno percepito, e come gli avvenimenti hanno ampiamente dimostrato. Da una parte, ci sono filosofie e ideologie, ma sempre più anche modi di pensare e di agire, che esaltano la libertà quale unico principio dell’uomo, in alternativa a Dio, e in tal modo trasformano l’uomo in un dio, ma è un dio sbagliato, che fa dell’arbitrarietà il proprio sistema di comportamento. Dall’altra, abbiamo appunto i santi, che, praticando il Vangelo della carità, rendono ragione della loro speranza; essi mostrano il vero volto di Dio, che è Amore, e, al tempo stesso, il volto autentico dell’uomo, creato a immagine e somiglianza divina. (...)
Ne sono seguiti, sulla stampa, alcuni interventi pro e contro il Pontefice:
Reale http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=N415U
Severino http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=N415Y
Guerriero http://www.ilfoglio.it/soloqui/3116
Sofri http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=N49VD
Ferrara http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefnazionale/PDF/2009/2009-08-12/2009081213464880.pdf
Volontè http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=N4KRW
Prosegue in alcuni casi la PESSIMA abitudine di commentare le parole del Papa così come vengono riportate dalle agenzie, senza effettuare un riscontro alla fonte diretta. Il riscontro peraltro sarebbe semplicissimo, essendo pubblicata sul sito della Santa Sede www.vatican.va ogni virgola che il Papa pronuncia in pubblico. E per giunta si riportano tra virgolette le parole attribuite indebitamente al Santo Padre.
Insomma, si crea un falso.
sabato 8 agosto 2009
Bello e a tratti commovente

Ho letto di recente questo libro di Tarcisio Zanni, dal titolo Tobia. Il libro del matrimonio. Commento inusuale al testo, edito da una piccola casa editrice di Messina, la Shekinà di Pietro Gringeri (238 pp., 12 euro).
Si tratta della storia di un ventenne, alle prese con il suo passato e il suo futuro, la cui vicenda si intreccia in modo molto efficace con la narrazione del libro biblico di Tobia. Una lettura acuta, fortemente dissonante dai modelli politically correct che ci circondano e talvolta ci opprimono. Tema centrale di questo "romanzo" (biografico? autobiografico? storico?) è la bellezza del Matrimonio cristiano come annuncio della Risurrezione di Cristo, medicina per le infermità del nostro tempo. Come sempre, prima della cura è necessaria la diagnosi: ecco perché molti mali del nostro tempo vengono denunciati anche con veemenza.
Il libro si può acquistare contattando direttamente l'editore, che manca purtroppo di una capillare distribuzione. Eccovi i contatti: Arte Sacra Shekinà SaS, via Faustina e Tertullo 14
98122 Messina. Telefono: 090/346120 -- 090/42458 Fax: 090/2509913 Cell.: 3939402673
Oppure ci si può registrare al sito http://www.pietroartesacra.it.
martedì 4 agosto 2009
giovedì 30 luglio 2009
La Fede vince il mondo (... e straccia i record)
(ANSA) - ROMA, 1 AGO
'La visita dal Papa mi ha regalato un'emozione fortissima, lui mi ha detto che ha visto tutte le mie gare'. Lo rivela Federica Pellegrini.
'Sono rimasta senza parole, gli ho detto solo grazie': la campionessa racconta cosi' il suo incontro con Benedetto XVI nell'udienza a Castelgandolfo con gli atleti che hanno preso parte ai mondiali di Roma.
'Sono sulle nuvole, la gente mi ferma per strada e so che succedera' anche nei prossimi giorni -aggiunge-.
E' successo tutto quello che avevo desiderato'.
© Copyright Ansa
'La visita dal Papa mi ha regalato un'emozione fortissima, lui mi ha detto che ha visto tutte le mie gare'. Lo rivela Federica Pellegrini.
'Sono rimasta senza parole, gli ho detto solo grazie': la campionessa racconta cosi' il suo incontro con Benedetto XVI nell'udienza a Castelgandolfo con gli atleti che hanno preso parte ai mondiali di Roma.
'Sono sulle nuvole, la gente mi ferma per strada e so che succedera' anche nei prossimi giorni -aggiunge-.
E' successo tutto quello che avevo desiderato'.
© Copyright Ansa
giovedì 11 giugno 2009
Un discorso lucido, intelligente, interessante, condivisibile, da diffondere
Da http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1338822
(...)
La congregazione del clero non si occupa dei seminari. Prende cura di essi la congregazione per l'educazione cattolica.
Anche quest'ultima, quindi, dovrà operare perché l'Anno Sacerdotale porti frutto. Qualcosa, anzi, ha già fatto, a giudicare dal discorso tenuto dal suo segretario, Jean-Louis Bruguès, ai rettori dei seminari pontifici convenuti a Roma nei giorni scorsi.
(...)
Ecco qui di seguito il discorso del segretario della congregazione per l'educazione cattolica ai rettori dei seminari pontifici, reso pubblico da "L'Osservatore Romano" del 3 giugno 2009:
Formazione al sacerdozio, tra secolarismo e modelli di Chiesa
di Jean-Louis Bruguès
È sempre rischioso spiegare una situazione sociale a partire da una sola interpretazione. Tuttavia, alcune chiavi aprono più porte di altre. Da molto tempo sono convinto del fatto che la secolarizzazione sia diventata una parola-chiave per pensare oggi le nostre società, ma anche la nostra Chiesa.
La secolarizzazione rappresenta un processo storico molto antico, poiché è nato in Francia a metà del XVIII secolo, prima di estendersi all'insieme delle società moderne. Tuttavia, la secolarizzazione della società varia molto da un paese all'altro.
In Francia e in Belgio, per esempio, essa tende a bandire i segni dell'appartenenza religiosa dalla sfera pubblica e a riportare la fede nella sfera privata. Si osserva la stessa tendenza, ma meno forte, in Spagna, in Portogallo e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, invece, la secolarizzazione si armonizza facilmente con l'espressione pubblica delle convinzioni religiose: l'abbiamo visto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali.
Da una decina d'anni a questa parte è emerso tra gli specialisti un dibattito molto interessante. Sembrava, fino ad allora, che si dovesse dare per scontato che la secolarizzazione all'europea costituisse la regola e il modello, mentre quella di tipo americano costituisse l'eccezione. Ora invece sono numerosi coloro i quali - Jürgen Habermas per esempio - pensano che è vero l'opposto e che anche nell'Europa post-moderna le religioni svolgeranno un nuovo ruolo sociale.
RICOMINCIARE DAL CATECHISMO
Qualunque sia la forma che ha assunto, la secolarizzazione ha provocato nei nostri paesi un crollo della cultura cristiana. I giovani che si presentano nei nostri seminari non conoscono più niente o quasi della dottrina cattolica, della storia della Chiesa e dei suoi costumi. Questa incultura generalizzata ci obbliga a effettuare delle revisioni importanti nella pratica seguita fino ad ora. Ne menzionerò due.
Per prima cosa, mi sembra indispensabile prevedere per questi giovani un periodo - un anno o più - di formazione iniziale, di "ricupero", di tipo catechetico e culturale al tempo stesso. I programmi possono essere concepiti in modo diverso, in funzione dei bisogni specifici di ciascun paese. Personalmente, penso a un intero anno dedicato all'assimilazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che si presenta come un compendio molto completo.
In secondo luogo occorrerebbe rivedere i nostri programmi di formazione. I giovani che entrano in seminario sanno di non sapere. Sono umili e desiderosi di assimilare il messaggio della Chiesa. Si può lavorare con loro veramente bene. La loro mancanza di cultura ha questo di positivo: non si portano più dietro i pregiudizi negativi dei loro fratelli maggiori. È una fortuna. Ci troviamo quindi a costruire su una "tabula rasa". Ecco perché sono a favore di una formazione teologica sintetica, organica e che punta all'essenziale.
Questo implica, da parte degli insegnanti e dei formatori, la rinuncia a una formazione iniziale contrassegnata da uno spirito critico - come era stato il caso della mia generazione, per la quale la scoperta della Bibbia e della dottrina è stata contaminata da uno spirito di critica sistematico - e alla tentazione di una specializzazione troppo precoce: precisamente perché manca a questi giovani il background culturale necessario.
Permettetemi di confidarvi alcune domande che mi sorgono in questo momento. Si ha mille volte ragione di voler dare ai futuri sacerdoti una formazione completa e d'alto livello. Come una madre attenta, la Chiesa desidera il meglio per i suoi futuri sacerdoti. Per questo i corsi si sono moltiplicati, ma al punto di appesantire i programmi in un modo a mio parere esagerato. Avete probabilmente percepito il rischio dello scoraggiamento in molti dei vostri seminaristi. Chiedo: una prospettiva enciclopedica è forse adatta per questi giovani che non hanno ricevuto alcuna formazione cristiana di base? Questa prospettiva non ha forse provocato una frammentazione della formazione, un'accumulazione dei corsi e un'impostazione eccessivamente storicizzante? È davvero necessario, per esempio, dare a dei giovani che non hanno mai imparato il catechismo una formazione approfondita nelle scienze umane, o nelle tecniche di comunicazione?
Consiglierei di scegliere la profondità piuttosto che l'estensione, la sintesi piuttosto che la dispersione nei dettagli, l'architettura piuttosto che la decorazione. Altrettante ragioni mi portano a credere che l'apprendimento della metafisica, per quanto impegnativo, rappresenti la fase preliminare assolutamente indispensabile allo studio della teologia. Quelli che vengono da noi hanno spesso ricevuto una solida formazione scientifica e tecnica - il che è una fortuna - ma la loro mancanza di cultura generale non permette ad essi di entrare con passo deciso nella teologia.
DUE GENERAZIONI, DUE MODELLI DI CHIESA
In numerose occasioni ho parlato delle generazioni: della mia, di quella che mi ha preceduto, delle generazioni future. È questo, per me, il nodo cruciale della presente situazione. Certo, il passaggio da una generazione all'altra ha sempre posto dei problemi d'adattamento, ma quello che viviamo oggi è assolutamente particolare.
Il tema della secolarizzazione dovrebbe aiutarci, anche qui, a comprendere meglio. Essa ha conosciuto un'accelerazione senza precedenti durante gli anni Sessanta. Per gli uomini della mia generazione, e ancor di più per coloro che mi hanno preceduto, spesso nati e cresciuti in un ambiente cristiano, essa ha costituito una scoperta essenziale, la grande avventura della loro esistenza. Sono dunque arrivati a interpretare l'"apertura al mondo" invocata dal Concilio Vaticano II come una conversione alla secolarizzazione.
Così di fatto abbiamo vissuto, o persino favorito, un'autosecolarizzazione estremamente potente nella maggior parte delle Chiese occidentali.
Gli esempi abbondano. I credenti sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono alla vita eterna? Le nostre Chiese hanno compiuto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi non tende a trascurare le realtà ultime? Le nostre Chiese si sono imbarcate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, sollecitate dall'opinione pubblica, ma quanto parlano del peccato, della grazia e della vita teologale? Le nostre Chiese hanno dispiegato felicemente dei tesori d'ingegno per far meglio partecipare i fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perso in gran parte il senso del sacro? Qualcuno può negare che la nostra generazione, forse senza rendersene conto, ha sognato una "Chiesa di puri", una fede purificata da ogni manifestazione religiosa, mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare come processioni, pellegrinaggi, eccetera?
L'impatto con la secolarizzazione delle nostre società ha trasformato profondamente le nostre Chiese. Potremmo avanzare l'ipotesi che siamo passati da una Chiesa di "appartenenza", nella quale la fede era data dal gruppo di nascita, a una Chiesa di "convinzione", in cui la fede si definisce come una scelta personale e coraggiosa, spesso in opposizione al gruppo di origine. Questo passaggio è stato accompagnato da variazioni numeriche impressionanti. Le presenze sono diminuite a vista d'occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari. Anni fa il cardinale Lustiger aveva tuttavia dimostrato, cifre alla mano, che in Francia il rapporto fra il numero dei sacerdoti e quello dei praticanti effettivi era restato sempre lo stesso.
I nostri seminaristi, così come i nostri giovani sacerdoti, appartengono anch'essi a questa Chiesa di "convinzione". Non vengono più tanto dalle campagne, quanto piuttosto dalle città, soprattutto delle città universitarie. Sono cresciuti spesso in famiglie divise o "scoppiate", il che lascia in loro tracce di ferite e, talvolta, una sorta d'immaturità affettiva. L'ambiente sociale di appartenenza non li sostiene più: hanno scelto di essere sacerdoti per convinzione e hanno rinunciato, per questo fatto, ad ogni ambizione sociale (quello che dico non vale dovunque; conosco delle comunità africane in cui la famiglia o il villaggio portano ancora delle vocazioni sbocciate nel loro seno). Per questo essi offrono un profilo più determinato, individualità più forti e temperamenti più coraggiosi. A questo titolo, hanno diritto a tutta la nostra stima.
La difficoltà sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione supera dunque la cornice di un semplice conflitto generazionale. La mia generazione, insisto, ha identificato l'apertura al mondo col convertirsi alla secolarizzazione, nei confronti della quale ha sperimentato un certo fascino. I più giovani, invece, sono sì nati nella secolarizzazione, che rappresenta il loro ambiente naturale, e l'hanno assimilata col latte della nutrice: ma cercano innanzitutto di prendere le distanze da essa, e rivendicano la loro identità e le loro differenze.
ACCOMODAMENTO COL MONDO O CONTESTAZIONE?
Esiste ormai nelle Chiese europee, e forse anche nella Chiesa americana, una linea di divisione, talora di frattura, tra una corrente di "composizione" e una corrente di "contestazione".
La prima ci porta a osservare che esistono nella secolarizzazione dei valori a forte matrice cristiana, come l'uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la responsabilità, e che deve essere possibile venire a patti con tale corrente e individuare dei campi di cooperazione.
La seconda corrente, al contrario, invita a prendere le distanze. Ritiene che le differenze o le opposizioni, soprattutto nel campo etico, diventeranno sempre più marcate. Propone dunque un modello alternativo al modello dominante, e accetta di sostenere il ruolo di una minoranza contestatrice.
La prima corrente è risultata predominante nel dopoconcilio; ha fornito la matrice ideologica delle interpretazioni del Vaticano II che si sono imposte alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.
Le cose si sono invertite a partire dagli anni Ottanta, soprattutto - ma non esclusivamente - sotto l'influenza di Giovanni Paolo II. La corrente della "composizione" è invecchiata, ma i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa. La corrente del modello alternativo si è rinforzata considerevolmente, ma non è ancora diventata dominante. Così si spiegherebbero le tensioni del momento in numerose Chiese del nostro continente.
Non mi sarebbe difficile illustrare con degli esempi la contrapposizione che ho appena descritto.
Le università cattoliche si distribuiscono oggi secondo questa linea di divisione. Alcune giocano la carta dell'adattamento e della cooperazione con la società secolarizzata, a costo di trovarsi costrette a prendere le distanze in senso critico nei confronti di questo o quell'aspetto della dottrina o della morale cattolica. Altre, d'ispirazione più recente, mettono l'accento sulla confessione della fede e la partecipazione attiva all'evangelizzazione. Lo stesso vale per le scuole cattoliche.
E lo stesso si potrebbe affermare, per ritornare al tema di questo incontro, nei riguardi della fisionomia tipica di coloro che bussano alla porta dei nostri seminari o delle nostre case religiose.
I candidati della prima tendenza sono diventati sempre più rari, con grande dispiacere dei sacerdoti delle generazioni più anziane. I candidati della seconda tendenza sono diventati oggi più numerosi dei primi, ma esitano a varcare la soglia dei nostri seminari, perché spesso non vi trovano ciò che cercano.
Essi sono portatori d'una preoccupazione d'identità (con un certo disprezzo vengono qualificati talvolta come "identitari"): identità cristiana - in che cosa ci dobbiamo distinguere da coloro che non condividono la nostra fede? - e identità del sacerdote, mentre l'identità del monaco e del religioso è più facilmente percepibile.
Come favorire un'armonia tra gli educatori, che appartengono spesso alla prima corrente, e i giovani che si identificano con la seconda? Gli educatori continueranno ad aggrapparsi a criteri d'ammissione e di selezione che risalgono ai loro tempi, ma non corrispondono più alle aspirazioni dei più giovani? Mi è stato raccontato il caso di un seminario francese nel quale le adorazioni del Santissimo Sacramento erano state bandite da una buona ventina d'anni, perché giudicate troppo devozionali: i nuovi seminaristi hanno dovuto battersi per parecchi anni perché fossero ripristinate, mentre alcuni docenti hanno preferito dare le dimissioni davanti a ciò che giudicavano come un "ritorno al passato"; cedendo alle richieste dei più giovani, avevano l'impressione di rinnegare ciò per cui si erano battuti per tutta la vita.
Nella diocesi di cui ero vescovo ho conosciuto difficoltà simili quando dei sacerdoti più anziani - oppure intere comunità parrocchiali - provavano una grande difficoltà a rispondere alle aspirazioni dei giovani sacerdoti che erano stati loro mandati.
Comprendo le difficoltà che incontrate nel vostro ministero di rettori di seminari. Più che il passaggio da una generazione ad un'altra, dovete assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione è delicata, ma è assolutamente essenziale per la Chiesa.
(...)
La congregazione del clero non si occupa dei seminari. Prende cura di essi la congregazione per l'educazione cattolica.
Anche quest'ultima, quindi, dovrà operare perché l'Anno Sacerdotale porti frutto. Qualcosa, anzi, ha già fatto, a giudicare dal discorso tenuto dal suo segretario, Jean-Louis Bruguès, ai rettori dei seminari pontifici convenuti a Roma nei giorni scorsi.
(...)
Ecco qui di seguito il discorso del segretario della congregazione per l'educazione cattolica ai rettori dei seminari pontifici, reso pubblico da "L'Osservatore Romano" del 3 giugno 2009:
Formazione al sacerdozio, tra secolarismo e modelli di Chiesa
di Jean-Louis Bruguès
È sempre rischioso spiegare una situazione sociale a partire da una sola interpretazione. Tuttavia, alcune chiavi aprono più porte di altre. Da molto tempo sono convinto del fatto che la secolarizzazione sia diventata una parola-chiave per pensare oggi le nostre società, ma anche la nostra Chiesa.
La secolarizzazione rappresenta un processo storico molto antico, poiché è nato in Francia a metà del XVIII secolo, prima di estendersi all'insieme delle società moderne. Tuttavia, la secolarizzazione della società varia molto da un paese all'altro.
In Francia e in Belgio, per esempio, essa tende a bandire i segni dell'appartenenza religiosa dalla sfera pubblica e a riportare la fede nella sfera privata. Si osserva la stessa tendenza, ma meno forte, in Spagna, in Portogallo e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, invece, la secolarizzazione si armonizza facilmente con l'espressione pubblica delle convinzioni religiose: l'abbiamo visto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali.
Da una decina d'anni a questa parte è emerso tra gli specialisti un dibattito molto interessante. Sembrava, fino ad allora, che si dovesse dare per scontato che la secolarizzazione all'europea costituisse la regola e il modello, mentre quella di tipo americano costituisse l'eccezione. Ora invece sono numerosi coloro i quali - Jürgen Habermas per esempio - pensano che è vero l'opposto e che anche nell'Europa post-moderna le religioni svolgeranno un nuovo ruolo sociale.
RICOMINCIARE DAL CATECHISMO
Qualunque sia la forma che ha assunto, la secolarizzazione ha provocato nei nostri paesi un crollo della cultura cristiana. I giovani che si presentano nei nostri seminari non conoscono più niente o quasi della dottrina cattolica, della storia della Chiesa e dei suoi costumi. Questa incultura generalizzata ci obbliga a effettuare delle revisioni importanti nella pratica seguita fino ad ora. Ne menzionerò due.
Per prima cosa, mi sembra indispensabile prevedere per questi giovani un periodo - un anno o più - di formazione iniziale, di "ricupero", di tipo catechetico e culturale al tempo stesso. I programmi possono essere concepiti in modo diverso, in funzione dei bisogni specifici di ciascun paese. Personalmente, penso a un intero anno dedicato all'assimilazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che si presenta come un compendio molto completo.
In secondo luogo occorrerebbe rivedere i nostri programmi di formazione. I giovani che entrano in seminario sanno di non sapere. Sono umili e desiderosi di assimilare il messaggio della Chiesa. Si può lavorare con loro veramente bene. La loro mancanza di cultura ha questo di positivo: non si portano più dietro i pregiudizi negativi dei loro fratelli maggiori. È una fortuna. Ci troviamo quindi a costruire su una "tabula rasa". Ecco perché sono a favore di una formazione teologica sintetica, organica e che punta all'essenziale.
Questo implica, da parte degli insegnanti e dei formatori, la rinuncia a una formazione iniziale contrassegnata da uno spirito critico - come era stato il caso della mia generazione, per la quale la scoperta della Bibbia e della dottrina è stata contaminata da uno spirito di critica sistematico - e alla tentazione di una specializzazione troppo precoce: precisamente perché manca a questi giovani il background culturale necessario.
Permettetemi di confidarvi alcune domande che mi sorgono in questo momento. Si ha mille volte ragione di voler dare ai futuri sacerdoti una formazione completa e d'alto livello. Come una madre attenta, la Chiesa desidera il meglio per i suoi futuri sacerdoti. Per questo i corsi si sono moltiplicati, ma al punto di appesantire i programmi in un modo a mio parere esagerato. Avete probabilmente percepito il rischio dello scoraggiamento in molti dei vostri seminaristi. Chiedo: una prospettiva enciclopedica è forse adatta per questi giovani che non hanno ricevuto alcuna formazione cristiana di base? Questa prospettiva non ha forse provocato una frammentazione della formazione, un'accumulazione dei corsi e un'impostazione eccessivamente storicizzante? È davvero necessario, per esempio, dare a dei giovani che non hanno mai imparato il catechismo una formazione approfondita nelle scienze umane, o nelle tecniche di comunicazione?
Consiglierei di scegliere la profondità piuttosto che l'estensione, la sintesi piuttosto che la dispersione nei dettagli, l'architettura piuttosto che la decorazione. Altrettante ragioni mi portano a credere che l'apprendimento della metafisica, per quanto impegnativo, rappresenti la fase preliminare assolutamente indispensabile allo studio della teologia. Quelli che vengono da noi hanno spesso ricevuto una solida formazione scientifica e tecnica - il che è una fortuna - ma la loro mancanza di cultura generale non permette ad essi di entrare con passo deciso nella teologia.
DUE GENERAZIONI, DUE MODELLI DI CHIESA
In numerose occasioni ho parlato delle generazioni: della mia, di quella che mi ha preceduto, delle generazioni future. È questo, per me, il nodo cruciale della presente situazione. Certo, il passaggio da una generazione all'altra ha sempre posto dei problemi d'adattamento, ma quello che viviamo oggi è assolutamente particolare.
Il tema della secolarizzazione dovrebbe aiutarci, anche qui, a comprendere meglio. Essa ha conosciuto un'accelerazione senza precedenti durante gli anni Sessanta. Per gli uomini della mia generazione, e ancor di più per coloro che mi hanno preceduto, spesso nati e cresciuti in un ambiente cristiano, essa ha costituito una scoperta essenziale, la grande avventura della loro esistenza. Sono dunque arrivati a interpretare l'"apertura al mondo" invocata dal Concilio Vaticano II come una conversione alla secolarizzazione.
Così di fatto abbiamo vissuto, o persino favorito, un'autosecolarizzazione estremamente potente nella maggior parte delle Chiese occidentali.
Gli esempi abbondano. I credenti sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono alla vita eterna? Le nostre Chiese hanno compiuto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi non tende a trascurare le realtà ultime? Le nostre Chiese si sono imbarcate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, sollecitate dall'opinione pubblica, ma quanto parlano del peccato, della grazia e della vita teologale? Le nostre Chiese hanno dispiegato felicemente dei tesori d'ingegno per far meglio partecipare i fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perso in gran parte il senso del sacro? Qualcuno può negare che la nostra generazione, forse senza rendersene conto, ha sognato una "Chiesa di puri", una fede purificata da ogni manifestazione religiosa, mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare come processioni, pellegrinaggi, eccetera?
L'impatto con la secolarizzazione delle nostre società ha trasformato profondamente le nostre Chiese. Potremmo avanzare l'ipotesi che siamo passati da una Chiesa di "appartenenza", nella quale la fede era data dal gruppo di nascita, a una Chiesa di "convinzione", in cui la fede si definisce come una scelta personale e coraggiosa, spesso in opposizione al gruppo di origine. Questo passaggio è stato accompagnato da variazioni numeriche impressionanti. Le presenze sono diminuite a vista d'occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari. Anni fa il cardinale Lustiger aveva tuttavia dimostrato, cifre alla mano, che in Francia il rapporto fra il numero dei sacerdoti e quello dei praticanti effettivi era restato sempre lo stesso.
I nostri seminaristi, così come i nostri giovani sacerdoti, appartengono anch'essi a questa Chiesa di "convinzione". Non vengono più tanto dalle campagne, quanto piuttosto dalle città, soprattutto delle città universitarie. Sono cresciuti spesso in famiglie divise o "scoppiate", il che lascia in loro tracce di ferite e, talvolta, una sorta d'immaturità affettiva. L'ambiente sociale di appartenenza non li sostiene più: hanno scelto di essere sacerdoti per convinzione e hanno rinunciato, per questo fatto, ad ogni ambizione sociale (quello che dico non vale dovunque; conosco delle comunità africane in cui la famiglia o il villaggio portano ancora delle vocazioni sbocciate nel loro seno). Per questo essi offrono un profilo più determinato, individualità più forti e temperamenti più coraggiosi. A questo titolo, hanno diritto a tutta la nostra stima.
La difficoltà sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione supera dunque la cornice di un semplice conflitto generazionale. La mia generazione, insisto, ha identificato l'apertura al mondo col convertirsi alla secolarizzazione, nei confronti della quale ha sperimentato un certo fascino. I più giovani, invece, sono sì nati nella secolarizzazione, che rappresenta il loro ambiente naturale, e l'hanno assimilata col latte della nutrice: ma cercano innanzitutto di prendere le distanze da essa, e rivendicano la loro identità e le loro differenze.
ACCOMODAMENTO COL MONDO O CONTESTAZIONE?
Esiste ormai nelle Chiese europee, e forse anche nella Chiesa americana, una linea di divisione, talora di frattura, tra una corrente di "composizione" e una corrente di "contestazione".
La prima ci porta a osservare che esistono nella secolarizzazione dei valori a forte matrice cristiana, come l'uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la responsabilità, e che deve essere possibile venire a patti con tale corrente e individuare dei campi di cooperazione.
La seconda corrente, al contrario, invita a prendere le distanze. Ritiene che le differenze o le opposizioni, soprattutto nel campo etico, diventeranno sempre più marcate. Propone dunque un modello alternativo al modello dominante, e accetta di sostenere il ruolo di una minoranza contestatrice.
La prima corrente è risultata predominante nel dopoconcilio; ha fornito la matrice ideologica delle interpretazioni del Vaticano II che si sono imposte alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.
Le cose si sono invertite a partire dagli anni Ottanta, soprattutto - ma non esclusivamente - sotto l'influenza di Giovanni Paolo II. La corrente della "composizione" è invecchiata, ma i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa. La corrente del modello alternativo si è rinforzata considerevolmente, ma non è ancora diventata dominante. Così si spiegherebbero le tensioni del momento in numerose Chiese del nostro continente.
Non mi sarebbe difficile illustrare con degli esempi la contrapposizione che ho appena descritto.
Le università cattoliche si distribuiscono oggi secondo questa linea di divisione. Alcune giocano la carta dell'adattamento e della cooperazione con la società secolarizzata, a costo di trovarsi costrette a prendere le distanze in senso critico nei confronti di questo o quell'aspetto della dottrina o della morale cattolica. Altre, d'ispirazione più recente, mettono l'accento sulla confessione della fede e la partecipazione attiva all'evangelizzazione. Lo stesso vale per le scuole cattoliche.
E lo stesso si potrebbe affermare, per ritornare al tema di questo incontro, nei riguardi della fisionomia tipica di coloro che bussano alla porta dei nostri seminari o delle nostre case religiose.
I candidati della prima tendenza sono diventati sempre più rari, con grande dispiacere dei sacerdoti delle generazioni più anziane. I candidati della seconda tendenza sono diventati oggi più numerosi dei primi, ma esitano a varcare la soglia dei nostri seminari, perché spesso non vi trovano ciò che cercano.
Essi sono portatori d'una preoccupazione d'identità (con un certo disprezzo vengono qualificati talvolta come "identitari"): identità cristiana - in che cosa ci dobbiamo distinguere da coloro che non condividono la nostra fede? - e identità del sacerdote, mentre l'identità del monaco e del religioso è più facilmente percepibile.
Come favorire un'armonia tra gli educatori, che appartengono spesso alla prima corrente, e i giovani che si identificano con la seconda? Gli educatori continueranno ad aggrapparsi a criteri d'ammissione e di selezione che risalgono ai loro tempi, ma non corrispondono più alle aspirazioni dei più giovani? Mi è stato raccontato il caso di un seminario francese nel quale le adorazioni del Santissimo Sacramento erano state bandite da una buona ventina d'anni, perché giudicate troppo devozionali: i nuovi seminaristi hanno dovuto battersi per parecchi anni perché fossero ripristinate, mentre alcuni docenti hanno preferito dare le dimissioni davanti a ciò che giudicavano come un "ritorno al passato"; cedendo alle richieste dei più giovani, avevano l'impressione di rinnegare ciò per cui si erano battuti per tutta la vita.
Nella diocesi di cui ero vescovo ho conosciuto difficoltà simili quando dei sacerdoti più anziani - oppure intere comunità parrocchiali - provavano una grande difficoltà a rispondere alle aspirazioni dei giovani sacerdoti che erano stati loro mandati.
Comprendo le difficoltà che incontrate nel vostro ministero di rettori di seminari. Più che il passaggio da una generazione ad un'altra, dovete assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione è delicata, ma è assolutamente essenziale per la Chiesa.
venerdì 22 maggio 2009
sabato 16 maggio 2009
Viaggi: passato remoto e passato prossimo
Passato remoto:
Durante il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa non ho potuto fare a meno di ripensare alla visita di Giovanni Paolo II ai luoghi santi durante il Giubileo del 2000. Io ero presente, e di quel viaggio si trova ancora in rete una cronaca da me curata ormai nove anni fa
http://www.geocities.com/pittanusanna/
Passato prossimo:
nell'Ottava di Pasqua mi sono recato in Bulgaria per un'Ordinazione Presbiterale. Qualche foto si può vedere qui: http://bulgaria2009.noadsfree.com/flash_gallery/gallery.html
Durante il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa non ho potuto fare a meno di ripensare alla visita di Giovanni Paolo II ai luoghi santi durante il Giubileo del 2000. Io ero presente, e di quel viaggio si trova ancora in rete una cronaca da me curata ormai nove anni fa
http://www.geocities.com/pittanusanna/
Passato prossimo:
nell'Ottava di Pasqua mi sono recato in Bulgaria per un'Ordinazione Presbiterale. Qualche foto si può vedere qui: http://bulgaria2009.noadsfree.com/flash_gallery/gallery.html
martedì 24 febbraio 2009
inizia la Quaresima
A tutti auguro un ricco e proficuo tempo quaresimale.
Due buone letture per iniziare possono essere il Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2009 e una nota cei dal titolo "Il senso cristiano del diugiuno e dell'astinenza"
Due buone letture per iniziare possono essere il Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2009 e una nota cei dal titolo "Il senso cristiano del diugiuno e dell'astinenza"
giovedì 12 febbraio 2009
In morte di Eluana Englaro
Omelia del 10 febbraio 2009
Memoria di Santa Scolastica. Liturgia della Parola della feria: Gen 1,20-2,4a; Sal 8; Mc 7,1-13
«Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e omini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle bestie...» (Gen 1,26)
La Parola di Dio di oggi ci riempie di una grande gioia perché richiama alla nostra mente la dignità altissima che Dio ci ha donato: ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, ci ha donato l'anima razionale immortale, ci ha donato una ragione a immagine sua, che è puro spirito, e ci ha chiamato all'eternità; e ci ha dato la consegna di tenere il suo luogo nel mondo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). Queste parole si adattano benissimo alla memoria di oggi, quella di Santa Scolastica. Si tratta della sorella di San Benedetto: questi due santi si consacrarono al Signore e agli inizi del VI secolo diedero avvio in Europa a un'opera amplissima di evangelizzazione con i loro monasteri: e portando il Vangelo di Cristo nobilitavano grandemente l'uomo; i monasteri benedettini hanno trasmesso la cultura dell'epoca classica, hanno diffuso una prassi del lavoro anche manuale che ha fatto progredire il nostro continente anche economicamente, hanno educato le coscienze di interi popoli. Possiamo ben dire che hanno fondato la nostra Europa. In sintesi, hanno davvero messo in pratica il comando divino: «Soggiogate la terra e dominatela».
Quanto contrasto, quanta distanza fra l'opera di questi santi e quello a cui abbiamo assistito in questi giorni!
Abbiamo assistito a un assassinio perpetrato in nome di alcune sentenze emesse da due tribunali della repubblica; abbiamo assistito a un'uccisione che non è stata fermata dalla più alta magistratura dello stato.
Forse pensavamo che i tempi dei farisei e degli scribi che anteponevano la legge alla persona fossero terminati. Il Vangelo di oggi (Mc 7,1-13) ci narra di uno dei tanti diverbi tra Gesù e queste persone, tutte preoccupate di salvare la forma, di salvare le tradizioni giuridiche, ma in realtà poco preoccupate dell'uomo e della volontà di Dio. Pensavamo che i tempi del formalismo e dell'ipocrisia fossero finiti; pensavamo che la parola di Cristo che insegna che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato (cf. Mc 2,27) fosse davvero penetrata nella coscienza dei popoli, o almeno in quella del nostro popolo, fin troppo poco incline al legalismo e al perfezionismo. C'eravamo sbagliati. C'eravamo ingannati. Ci siamo dovuti ricredere. Una donna è stata uccisa per una serie infinita di cavilli procedurali, giudiziari, costituzionali veri o presunti.
Noi affidiamo la sua anima al Dio della misericordia, mentre chiediamo perdono e imploriamo misericordia anche per i suoi uccisori: Kyrie, eleison - Signore pietà!
Ma chiediamo perdono anche per noi, perché forse troppo poco e troppo tardi abbiamo parlato; avremmo dovuto smuovere con più forza le coscienze davanti a questo dramma, avremmo dovuto risvegliare con più vigore l'anima civile e cristiana di questo Paese. Perdonaci, Signore, abbi pietà di noi.
Tutti ci sentiamo rivolgere oggi la forte parola di Cristo: «questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mc 7,6). Dobbiamo stare molto attenti, perché già altri popoli che avevano udito la voce del Signore e lo avevano seguito, poi gli hanno voltato le spalle e Dio li ha abbandonati alla durezza del loro cuore - a cominciare dal popolo di Israele, che ricevette la prima alleanza. «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (ib.): nazioni che un tempo fiorivano di santità e vocazioni, di grandi spiriti cristiani, ora sono l'ombra di loro stesse e vagano nella tenebra; hanno lasciato il Regno di Cristo per inseguire un vago ideale di libertà e si sono trovati invece schiavi della tremenda e impietosa "dittatura del relativismo". Dobbiamo stare molto attenti che ciò non avvenga anche a noi , che Dio non ci abbandoni alla durezza del nostro cuore.
Chiediamo a Santa Scolastica e a San Benedetto di aiutarci a non rinnegare l'opera per cui hanno lavorato. Chiediamo a Dio di perdonarci, di farci rialzare da questa caduta e di rinnovare in noi il dono della ragione che ci mostri che nella sua volontà c'è la verità e la vita per l'uomo; che ci mostri che la sua Parola e la sua Grazia - che sono sempre a servizio dell'uomo - valgono più di mille tradizioni e leggi «che sono» solo «precetti di uomini» (Mc 7,7).
Memoria di Santa Scolastica. Liturgia della Parola della feria: Gen 1,20-2,4a; Sal 8; Mc 7,1-13
«Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e omini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle bestie...» (Gen 1,26)
La Parola di Dio di oggi ci riempie di una grande gioia perché richiama alla nostra mente la dignità altissima che Dio ci ha donato: ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, ci ha donato l'anima razionale immortale, ci ha donato una ragione a immagine sua, che è puro spirito, e ci ha chiamato all'eternità; e ci ha dato la consegna di tenere il suo luogo nel mondo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). Queste parole si adattano benissimo alla memoria di oggi, quella di Santa Scolastica. Si tratta della sorella di San Benedetto: questi due santi si consacrarono al Signore e agli inizi del VI secolo diedero avvio in Europa a un'opera amplissima di evangelizzazione con i loro monasteri: e portando il Vangelo di Cristo nobilitavano grandemente l'uomo; i monasteri benedettini hanno trasmesso la cultura dell'epoca classica, hanno diffuso una prassi del lavoro anche manuale che ha fatto progredire il nostro continente anche economicamente, hanno educato le coscienze di interi popoli. Possiamo ben dire che hanno fondato la nostra Europa. In sintesi, hanno davvero messo in pratica il comando divino: «Soggiogate la terra e dominatela».
Quanto contrasto, quanta distanza fra l'opera di questi santi e quello a cui abbiamo assistito in questi giorni!
Abbiamo assistito a un assassinio perpetrato in nome di alcune sentenze emesse da due tribunali della repubblica; abbiamo assistito a un'uccisione che non è stata fermata dalla più alta magistratura dello stato.
Forse pensavamo che i tempi dei farisei e degli scribi che anteponevano la legge alla persona fossero terminati. Il Vangelo di oggi (Mc 7,1-13) ci narra di uno dei tanti diverbi tra Gesù e queste persone, tutte preoccupate di salvare la forma, di salvare le tradizioni giuridiche, ma in realtà poco preoccupate dell'uomo e della volontà di Dio. Pensavamo che i tempi del formalismo e dell'ipocrisia fossero finiti; pensavamo che la parola di Cristo che insegna che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato (cf. Mc 2,27) fosse davvero penetrata nella coscienza dei popoli, o almeno in quella del nostro popolo, fin troppo poco incline al legalismo e al perfezionismo. C'eravamo sbagliati. C'eravamo ingannati. Ci siamo dovuti ricredere. Una donna è stata uccisa per una serie infinita di cavilli procedurali, giudiziari, costituzionali veri o presunti.
Noi affidiamo la sua anima al Dio della misericordia, mentre chiediamo perdono e imploriamo misericordia anche per i suoi uccisori: Kyrie, eleison - Signore pietà!
Ma chiediamo perdono anche per noi, perché forse troppo poco e troppo tardi abbiamo parlato; avremmo dovuto smuovere con più forza le coscienze davanti a questo dramma, avremmo dovuto risvegliare con più vigore l'anima civile e cristiana di questo Paese. Perdonaci, Signore, abbi pietà di noi.
Tutti ci sentiamo rivolgere oggi la forte parola di Cristo: «questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mc 7,6). Dobbiamo stare molto attenti, perché già altri popoli che avevano udito la voce del Signore e lo avevano seguito, poi gli hanno voltato le spalle e Dio li ha abbandonati alla durezza del loro cuore - a cominciare dal popolo di Israele, che ricevette la prima alleanza. «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (ib.): nazioni che un tempo fiorivano di santità e vocazioni, di grandi spiriti cristiani, ora sono l'ombra di loro stesse e vagano nella tenebra; hanno lasciato il Regno di Cristo per inseguire un vago ideale di libertà e si sono trovati invece schiavi della tremenda e impietosa "dittatura del relativismo". Dobbiamo stare molto attenti che ciò non avvenga anche a noi , che Dio non ci abbandoni alla durezza del nostro cuore.
Chiediamo a Santa Scolastica e a San Benedetto di aiutarci a non rinnegare l'opera per cui hanno lavorato. Chiediamo a Dio di perdonarci, di farci rialzare da questa caduta e di rinnovare in noi il dono della ragione che ci mostri che nella sua volontà c'è la verità e la vita per l'uomo; che ci mostri che la sua Parola e la sua Grazia - che sono sempre a servizio dell'uomo - valgono più di mille tradizioni e leggi «che sono» solo «precetti di uomini» (Mc 7,7).
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AVVISO AI NAVIGANTI
D'ora in poi i commenti saranno soggetti a moderazione.
Mi dispiace aver causato in questi giorni qualche delusione in un visitatore del blog, ma la mia decisione di eliminarne i commenti è stata causata principalmente dal fatto che si sia firmato come anonimo...
Gli chiedo scusa, chiunque egli sia, a maggior ragione per il fatto che a suo dire mi conosce di persona.
Ripeto: mi dispiace veramente.
Ma non vorrei trasformare il blog in una selva selvaggia di commenti anonimi...
l'esperienza insegna...
Mi dispiace aver causato in questi giorni qualche delusione in un visitatore del blog, ma la mia decisione di eliminarne i commenti è stata causata principalmente dal fatto che si sia firmato come anonimo...
Gli chiedo scusa, chiunque egli sia, a maggior ragione per il fatto che a suo dire mi conosce di persona.
Ripeto: mi dispiace veramente.
Ma non vorrei trasformare il blog in una selva selvaggia di commenti anonimi...
l'esperienza insegna...
giovedì 15 gennaio 2009
Catechesi per giovani e adulti
Basilica Parrocchiale S. Marco Evangelista al Campidoglio,
ingresso a Piazza San Marco 48 Roma
(piazzetta che si apre sulla destra di P.za Venezia guardando la telescrivente)
"Venite a me, voi tutti,ingresso a Piazza San Marco 48 Roma
(piazzetta che si apre sulla destra di P.za Venezia guardando la telescrivente)
che siete affaticati e oppressi,
e io vi ristorerò" (Mt 11,28)
DIO TI AMA
così come sei
vieni a scoprirlo alle
CATECHESI
che si terranno nella nostra Parrocchia
il LUNEDI' e il GIOVEDI' alle ore 21
dal 19 Gennaio 2009
così come sei
vieni a scoprirlo alle
CATECHESI
che si terranno nella nostra Parrocchia
il LUNEDI' e il GIOVEDI' alle ore 21
dal 19 Gennaio 2009
ci sarò anch'io
martedì 23 dicembre 2008
Buon Natale

Sono sfuggiti al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre misteri di grido che sono stati compiuti nel silenzio di Dio. In che modo dunque si è manifestato nei secoli? Una stella ha brillato nel cielo sopra tutte le altre stelle, e la sua luce era indicibile, e la sua novità provocò stupore, e tutte le altre stelle insieme al Sole e alla Luna fecero coro alla Stella, e la sua stessa luce era superiore a tutte; e c'era turbamento, da dove proveniva la novità dissimile agli altri. Donde veniva travolta ogni magia e ogni legaccio del male spariva, e l'ignoranza fu distrutta, l'antico regno fu rovinato, essendosi manifestato Dio in forma umana per la novità della vita eterna: prendeva inizio ciò che presso Dio era compiuto; perciò tutto era sconvolto, in quanto stava per avvenire la distruzione della morte.
(S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, XIX, 1-3)
Con i miei migliori auguri di un santo e felice Natale del Signore 2008!
d. Sebastiano
d. Sebastiano
martedì 2 dicembre 2008
Resourcement
Prima di parlare dell'intervista a Mons. Migliore, qualcuno farebbe bene a leggerla. Per comodità la incollo qui, attingendo da http://paparatzinger2-blograffaella.blogspot.com/2008/12/il-testo-integrale-dellintervista-di.html
Qual è oggi il peso reale dell'Organizzazione delle Nazioni Uniti per far rispettare i diritti dell'uomo?
Le Nazioni Unite non sono un supergoverno con un proprio esecutivo. L'attuazione dei diritti umani nei singoli paesi –seppur tenuta sotto controllo dal Consiglio dei diritti umani e dai meccanismi di seguito collegati a Trattati e Convenzioni- riposa ancora essenzialmente sulle giurisdizioni nazionali, ma anche molto e sempre di più sui sistemi regionali. Basti pensare al sistema europeo, che figura tra quelli maggiormente sviluppati, a quello interamericano e a quello africano che si sta consolidando. Il Consiglio dei diritti umani, succeduto due anni fa all'omonima Commissione, fa molta fatica a decollare con efficacia. I Comitati di seguito, annessi a Trattati e Convenzioni, svolgono un buon ruolo propulsore quando si attengono al proprio mandato e non pretendono, come spesso succede, di interpretare il consenso degli Stati in senso innovativo e spesso ideologicamente selettivo.
Il 10 dicembre prossimo, alcune organizzazioni favorevoli all'aborto tenteranno di ottenere attraverso una petizione che l'Assemblea delle Nazioni Unite aggiunga l'aborto ai diritti universali dell'uomo. Come accoglie questa proposta?
E' triste e indignante, perchè questa iniziativa lavora in favore dello smantellamento del sistema dei diritti umani, in quanto ci porta a riorganizzarne l'enunciazione e la protezione attorno non più a diritti, ma a scelte personali. Rappresenta l'introduzione del principio homo homini lupus, l'uomo diventa un lupo per i suoi simili. Questa è la barbarie moderna che, dal di dentro, ci porta a smantellare le nostre società. Esistono controtendenze motivate, convinte e determinate che dobbiamo sostenere e incoraggiare.
Da parte sua la Francia ha intenzione di presentare all'Onu una proposta per chiedere la depenalizzazione dell'omosessualità nel mondo intero a nome dei 25 Paesi dell'Unione Europea. Come reagisce a questa proposta?
Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale. Il Catechismo della Chiesa cattolica, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui, la questione è un'altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni.
La Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo è stata approvata nel 1948 dai 58 Stati membri che costituivano all'epoca l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L'Onu conta oggi 192 Stati membri. Di conseguenza la Dichiarazione del 1948 deve essere modificata dopo 60 anni?
E' vero che il numero dei paesi è più che triplicato dal momento dell'adozione della Dichiarazione universale. Tuttavia, è anche vero che tutti gli altri, man mano che sono entrati a far parte dell'Onu, hanno egualmente adottato il testo, impegnandosi a informare dei suoi dettami le proprie Costituzioni e leggi. Per cui, oggi, la Dichiarazione è patrimonio dell'umanità. Che essa enunci principi uguali per tutti, non va affatto contro il pluralismo di culture, tradizioni, filosofie e religioni. Il successo dei redattori della Dichiarazione fu quello di aver potuto mettersi d'accordo in tempi non troppo lunghi su un testo comune, proprio perché convinti che esistono principi così fondamentali da essere presenti in tutte le culture e civiltà. Dire che i diritti umani sono universali non esclude un sano pluralismo nella loro attuazione. Gli estensori della Dichiarazione furono accorti nel predisporre un testo abbastanza flessibile per permettere sfumature diverse di accenti e attuazione, ma per niente malleabile ad un approccio selettivo.
A l'approche du 60e anniversaire de la Déclaration universelle des droits de l'homme, adoptée le 10 décembre 1948 par l'Assemblée générale des Nations unies, Mgr Celestino Migliore, Observateur permanent du Saint-Siège à l'ONU, s'élève contre les tentatives de modification de ce texte qui, à ses yeux, "fait partie du patrimoine de l'humanité". Plus particulièrement, face à la proposition de plusieurs groupes de pressions, le haut prélat affirme qu'en ajoutant l'avortement aux droits universels de l'homme, c'est tout le système des droits de l'homme "qui serait démantelé" pour laisser place à la "barbarie". Mgr Migliore exprime en outre son opposition à l'inscription dans la déclaration "de nouvelles catégories devant être protégées contre la discrimination", en référence à la proposition française de dépénalisation universelle de l'homosexualité.
Quel est, aujourd'hui, le poids réel de l'Organisation des Nations unies pour faire respecter les droits de l'homme ?
Les Nations Unies ne sont pas un super-gouvernement doté d'un pouvoir exécutif propre. L'application des droits de l'homme dans chacun des Etats - bien qu'elle soit contrôlée par le Conseil des droits de l'homme et par les mécanismes d'application des Traités et des Conventions - repose encore essentiellement sur les juridictions nationales, mais aussi de plus en plus sur des systèmes régionaux. Il suffit de penser au système européen, qui est l'un des plus développés, au système interaméricain et au système africain, en phase de consolidation. Le Conseil des droits de l'homme, qui a remplacé il y a deux ans la Commission du même nom, peine beaucoup à devenir réellement efficace. Les Comités d'application annexés aux Traités et aux Conventions jouent un rôle positif de moteur lorsqu'ils s'en tiennent à leur propre mandat et ne prétendent pas, comme cela arrive souvent, interpréter le consentement des Etats de manière innovante et souvent idéologiquement sélective.
Le 10 décembre prochain, des organisations pro-avortement tenteront d'obtenir par pétition que l'Assemblée générale des Nations unies ajoute l'avortement aux droits universels de l'homme. Comment accueillez-vous cette proposition ?
C'est une initiative triste et révoltante car elle favorise le démantèlement du système des droits de l'homme dans la mesure où elle nous pousse à en réorganiser l'énonciation et la protection, non plus autour de droits mais de choix personnels. On en arrive à introduire le principe 'homo homini lupus', l'homme devient un loup pour l'homme. C'est la barbarie moderne qui nous amène à démanteler nos sociétés de l'intérieur. Il existe des mouvements qui s'y opposent avec force et conviction, que nous devons soutenir et encourager.
Pour sa part, la France a l'intention de présenter à l'ONU un projet de déclaration pour demander la dépénalisation de l'homosexualité dans le monde entier, au nom des 25 pays de l'Union européenne. Comment réagissez-vous à cette proposition ?
Tout ce qui est fait en faveur du respect et de la protection des personnes fait partie de notre patrimoine humain et spirituel. Le Catéchisme de l'Eglise catholique affirme, et cela ne date pas d'hier, qu'il faut éviter toute forme injuste de discrimination contre les homosexuels. Mais ce n'est pas là la question. Dans une déclaration ayant une valeur politique et signée par un groupe de pays, il est demandé aux Etats et aux mécanismes internationaux d'application et de contrôle des droits de l'homme d'ajouter de nouvelles catégories devant être protégées contre la discrimination, sans tenir compte que, en cas d'adoption, elles créeront de nouvelles et terribles discriminations. Par exemple, les Etats qui ne reconnaissent pas l'union entre personnes du même sexe comme 'mariage' seront mis au pilori et feront l'objet de pressions.
La Déclaration universelle des droits de l'homme a été adoptée en 1948 par les 58 Etats membres qui constituaient alors l'Assemblée générale des Nations unies. L'ONU compte aujourd'hui 192 Etats membres... En conséquence, la déclaration de 1948 doit-elle être modifiée 60 ans plus tard ?
Il est vrai que le nombre de pays a plus que triplé depuis l'adoption de la Déclaration universelle. Cependant, il est également vrai que tous ceux qui sont entrés peu à peu à l'ONU ont, de la même façon, adopté le texte, s'engageant à introduire ses préceptes dans leurs propres constitutions et lois. C'est pourquoi, aujourd'hui, la Déclaration universelle des droits de l'homme fait partie du patrimoine de l'humanité. Le fait qu'elle énonce des principes qui s'appliquent à tous ne va absolument pas contre le pluralisme des cultures, des traditions, des philosophies et des religions. Les rédacteurs de la Déclaration ont réussi à se mettre assez rapidement d'accord sur un texte commun, précisément parce qu'ils étaient convaincus qu'il existe des principes fondamentaux au point d'être présents dans toutes les cultures et toutes les civilisations. Affirmer que les droits de l'homme sont universels n'exclut pas un pluralisme sain dans leur application. Les auteurs de la déclaration sont parvenus à mettre au point un texte suffisamment flexible pour permettre différentes nuances d'accents et d'application, mais en rien adaptable à une approche sélective.
Intervista a Mons. Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite
Agenzia I.MEDIA
Includere l'aborto nell'elenco dei diritti dell'uomo sarebbe una "barbarie" secondo la Santa Sede.
Qual è oggi il peso reale dell'Organizzazione delle Nazioni Uniti per far rispettare i diritti dell'uomo?
Le Nazioni Unite non sono un supergoverno con un proprio esecutivo. L'attuazione dei diritti umani nei singoli paesi –seppur tenuta sotto controllo dal Consiglio dei diritti umani e dai meccanismi di seguito collegati a Trattati e Convenzioni- riposa ancora essenzialmente sulle giurisdizioni nazionali, ma anche molto e sempre di più sui sistemi regionali. Basti pensare al sistema europeo, che figura tra quelli maggiormente sviluppati, a quello interamericano e a quello africano che si sta consolidando. Il Consiglio dei diritti umani, succeduto due anni fa all'omonima Commissione, fa molta fatica a decollare con efficacia. I Comitati di seguito, annessi a Trattati e Convenzioni, svolgono un buon ruolo propulsore quando si attengono al proprio mandato e non pretendono, come spesso succede, di interpretare il consenso degli Stati in senso innovativo e spesso ideologicamente selettivo.
Il 10 dicembre prossimo, alcune organizzazioni favorevoli all'aborto tenteranno di ottenere attraverso una petizione che l'Assemblea delle Nazioni Unite aggiunga l'aborto ai diritti universali dell'uomo. Come accoglie questa proposta?
E' triste e indignante, perchè questa iniziativa lavora in favore dello smantellamento del sistema dei diritti umani, in quanto ci porta a riorganizzarne l'enunciazione e la protezione attorno non più a diritti, ma a scelte personali. Rappresenta l'introduzione del principio homo homini lupus, l'uomo diventa un lupo per i suoi simili. Questa è la barbarie moderna che, dal di dentro, ci porta a smantellare le nostre società. Esistono controtendenze motivate, convinte e determinate che dobbiamo sostenere e incoraggiare.
Da parte sua la Francia ha intenzione di presentare all'Onu una proposta per chiedere la depenalizzazione dell'omosessualità nel mondo intero a nome dei 25 Paesi dell'Unione Europea. Come reagisce a questa proposta?
Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale. Il Catechismo della Chiesa cattolica, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui, la questione è un'altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni.
La Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo è stata approvata nel 1948 dai 58 Stati membri che costituivano all'epoca l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L'Onu conta oggi 192 Stati membri. Di conseguenza la Dichiarazione del 1948 deve essere modificata dopo 60 anni?
E' vero che il numero dei paesi è più che triplicato dal momento dell'adozione della Dichiarazione universale. Tuttavia, è anche vero che tutti gli altri, man mano che sono entrati a far parte dell'Onu, hanno egualmente adottato il testo, impegnandosi a informare dei suoi dettami le proprie Costituzioni e leggi. Per cui, oggi, la Dichiarazione è patrimonio dell'umanità. Che essa enunci principi uguali per tutti, non va affatto contro il pluralismo di culture, tradizioni, filosofie e religioni. Il successo dei redattori della Dichiarazione fu quello di aver potuto mettersi d'accordo in tempi non troppo lunghi su un testo comune, proprio perché convinti che esistono principi così fondamentali da essere presenti in tutte le culture e civiltà. Dire che i diritti umani sono universali non esclude un sano pluralismo nella loro attuazione. Gli estensori della Dichiarazione furono accorti nel predisporre un testo abbastanza flessibile per permettere sfumature diverse di accenti e attuazione, ma per niente malleabile ad un approccio selettivo.
© Copyright Vatican - Agence I.MEDIA - 1er décembre 2008 - 5200 signes
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A l'approche du 60e anniversaire de la Déclaration universelle des droits de l'homme, adoptée le 10 décembre 1948 par l'Assemblée générale des Nations unies, Mgr Celestino Migliore, Observateur permanent du Saint-Siège à l'ONU, s'élève contre les tentatives de modification de ce texte qui, à ses yeux, "fait partie du patrimoine de l'humanité". Plus particulièrement, face à la proposition de plusieurs groupes de pressions, le haut prélat affirme qu'en ajoutant l'avortement aux droits universels de l'homme, c'est tout le système des droits de l'homme "qui serait démantelé" pour laisser place à la "barbarie". Mgr Migliore exprime en outre son opposition à l'inscription dans la déclaration "de nouvelles catégories devant être protégées contre la discrimination", en référence à la proposition française de dépénalisation universelle de l'homosexualité.
Quel est, aujourd'hui, le poids réel de l'Organisation des Nations unies pour faire respecter les droits de l'homme ?
Les Nations Unies ne sont pas un super-gouvernement doté d'un pouvoir exécutif propre. L'application des droits de l'homme dans chacun des Etats - bien qu'elle soit contrôlée par le Conseil des droits de l'homme et par les mécanismes d'application des Traités et des Conventions - repose encore essentiellement sur les juridictions nationales, mais aussi de plus en plus sur des systèmes régionaux. Il suffit de penser au système européen, qui est l'un des plus développés, au système interaméricain et au système africain, en phase de consolidation. Le Conseil des droits de l'homme, qui a remplacé il y a deux ans la Commission du même nom, peine beaucoup à devenir réellement efficace. Les Comités d'application annexés aux Traités et aux Conventions jouent un rôle positif de moteur lorsqu'ils s'en tiennent à leur propre mandat et ne prétendent pas, comme cela arrive souvent, interpréter le consentement des Etats de manière innovante et souvent idéologiquement sélective.
Le 10 décembre prochain, des organisations pro-avortement tenteront d'obtenir par pétition que l'Assemblée générale des Nations unies ajoute l'avortement aux droits universels de l'homme. Comment accueillez-vous cette proposition ?
C'est une initiative triste et révoltante car elle favorise le démantèlement du système des droits de l'homme dans la mesure où elle nous pousse à en réorganiser l'énonciation et la protection, non plus autour de droits mais de choix personnels. On en arrive à introduire le principe 'homo homini lupus', l'homme devient un loup pour l'homme. C'est la barbarie moderne qui nous amène à démanteler nos sociétés de l'intérieur. Il existe des mouvements qui s'y opposent avec force et conviction, que nous devons soutenir et encourager.
Pour sa part, la France a l'intention de présenter à l'ONU un projet de déclaration pour demander la dépénalisation de l'homosexualité dans le monde entier, au nom des 25 pays de l'Union européenne. Comment réagissez-vous à cette proposition ?
Tout ce qui est fait en faveur du respect et de la protection des personnes fait partie de notre patrimoine humain et spirituel. Le Catéchisme de l'Eglise catholique affirme, et cela ne date pas d'hier, qu'il faut éviter toute forme injuste de discrimination contre les homosexuels. Mais ce n'est pas là la question. Dans une déclaration ayant une valeur politique et signée par un groupe de pays, il est demandé aux Etats et aux mécanismes internationaux d'application et de contrôle des droits de l'homme d'ajouter de nouvelles catégories devant être protégées contre la discrimination, sans tenir compte que, en cas d'adoption, elles créeront de nouvelles et terribles discriminations. Par exemple, les Etats qui ne reconnaissent pas l'union entre personnes du même sexe comme 'mariage' seront mis au pilori et feront l'objet de pressions.
La Déclaration universelle des droits de l'homme a été adoptée en 1948 par les 58 Etats membres qui constituaient alors l'Assemblée générale des Nations unies. L'ONU compte aujourd'hui 192 Etats membres... En conséquence, la déclaration de 1948 doit-elle être modifiée 60 ans plus tard ?
Il est vrai que le nombre de pays a plus que triplé depuis l'adoption de la Déclaration universelle. Cependant, il est également vrai que tous ceux qui sont entrés peu à peu à l'ONU ont, de la même façon, adopté le texte, s'engageant à introduire ses préceptes dans leurs propres constitutions et lois. C'est pourquoi, aujourd'hui, la Déclaration universelle des droits de l'homme fait partie du patrimoine de l'humanité. Le fait qu'elle énonce des principes qui s'appliquent à tous ne va absolument pas contre le pluralisme des cultures, des traditions, des philosophies et des religions. Les rédacteurs de la Déclaration ont réussi à se mettre assez rapidement d'accord sur un texte commun, précisément parce qu'ils étaient convaincus qu'il existe des principes fondamentaux au point d'être présents dans toutes les cultures et toutes les civilisations. Affirmer que les droits de l'homme sont universels n'exclut pas un pluralisme sain dans leur application. Les auteurs de la déclaration sont parvenus à mettre au point un texte suffisamment flexible pour permettre différentes nuances d'accents et d'application, mais en rien adaptable à une approche sélective.
Propos recueillis par Antoine-Marie Izoard.
Traduction de l'italien : Charles de Pechpeyrou.
I.MEDIA
Traduction de l'italien : Charles de Pechpeyrou.
I.MEDIA
martedì 11 novembre 2008
Ritorno dopo una lunga assenza: Conversi ad Dominum oremus
Ritorno al Blog dopo una lunga assenza, determinata da vari motivi... e ritorno inserendo tre links ad altrettanti video visibili su YouTube relativi alla "prima messa" di un mio compagno di seminario, don Giuseppe Virgilio.
http://it.youtube.com/watch?v=K-571tjAAek
http://it.youtube.com/watch?v=aY4t4NMTHXA
http://it.youtube.com/watch?v=4AOHx-OsvDc
Buona visione a tutti e a presto (speriamo).
http://it.youtube.com/watch?v=K-571tjAAek
http://it.youtube.com/watch?v=aY4t4NMTHXA
http://it.youtube.com/watch?v=4AOHx-OsvDc
Buona visione a tutti e a presto (speriamo).
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