martedì 30 gennaio 2007

Sunday Telegraph 27/01: Il latino sta morendo

Ho appena letto un intervento di P. Reginald Foster, "latinista" del Papa. Egli mette in guardia dalla possibile - e purtroppo sempre più tangibile - perdita della lingua latina nella Chiesa, che precluderebbe l'accesso diretto a importanti fonti della tradizione vivente della fede cristiana, specialmente dal punto di vista teologico (e non solo, dico io).

Riporto alcuni pensieri:

"You cannot understand St Augustine in English. He thought in Latin. It is like listening to Mozart through a jukebox"

"We still speak Latin in the elevators and around the house in my monastery at San Pancrazio, just like 45 years ago. But nowadays the students don't get it, and I don't blame them – it's not their fault"

Italy is, however, different: all schoolchildren, except those who attend technical colleges, must be taught Latin for at least four hours a week until they are 18. But Fr Foster said the techniques used to teach Latin were outdated. "You need to present the language as a living thing," he said. "You do not need to be mentally excellent to know Latin. Prostitutes, beggars and pimps in Rome spoke Latin, so there must be some hope for us"

"It is dying in the Church. I'm not optimistic about Latin. The young priests and bishops are not studying it"

L'intero articolo si può leggere naturalmente sul sito del Telegraph

I miei esami procedono

sabato 27 gennaio 2007

"La vera dottrina spiegata alle ragazze"

Dall'11 novembre scorso, spesso il sabato Camillo Langone pubblica un articolo-lettera abbastanza lungo su una pagina del quotidiano "Il Foglio". Questo tipo di interventi costituisce una sorta di rubrica, dal titolo "La vera dottrina spiegata alle ragazze".
"Il Foglio quotidiano" - per quanto a volte si possa dissentire da questa o quella particolare opinione presente in pagina - credo rappresenti un fenomeno interessante nel panorama dei giornali italiani, perché succede, a differenza di quanto accade con altre testate, che uno lo compra e poi scopre che c'è qualcosa da leggere!!
Ebbene, in detta rubrica Camillo Langone scrive lettere ad alcune ragazze italiane - che lui afferma aver conosciuto personalmente - e con il suo stile particolarissimo e sempre "sopra le righe" introduce temi cruciali di vita cristiana, senza superficialità ma con un fare mai pedante e molto disinvolto, talvolta fin troppo.
Riporto di seguito il sommario con i titoli e i sottotitoli delle lettere-articolo finora pubblicati.
A chi fosse interessato posso spedire il file zip con tutte queste pagine in formato pdf (non credo di violare il copyright, in quanto si possono tranquillamente scaricare, previa sottoscrizione gratuita, da http://www.ilfoglio.it). Chi fosse interessato mi contatti alla mail dssebastiano CHIOCCIOLA gmail PUNTO com

Buone cose a tutti... io nel frattempo sto preparando i prossimi esami

-------------------------------------------
Sommario della rubrica


CRISTINA, METTITI LA CROCE
Si può portare Gesù morto come ornamento al collo, persino tra le tette? Langone risponde con dotta devozione
ANNO XI NUMERO 267 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 11 NOVEMBRE 2006

SARA, BATTEZZA TUO FIGLIO
Il battesimo non è né una laurea in teologia né la fine di un percorso: solo l’inizio.E il bello è che ci sono solo vantaggi
ANNO XI NUMERO 273 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 18 NOVEMBRE 2006

GRAZIA, IMPARA I DIECI COMANDAMENTI
Mia cara amica, ma tu credi davvero che sia così irrilevante sapere cosa è giusto fare e cosa invece no?
ANNO XI NUMERO 285 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 2 DICEMBRE 2006

GIOVANNA, FAI IL PRESEPE
L’albero lascialo perdere. Ricordati piuttosto che senza quel bambino e quella mangiatoia saresti ancora un’acciuga
ANNO XI NUMERO 291 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 9 DICEMBRE 2006

CARA MARTINA,VAI IN CHIESA
Perché mi fai disperare? La fede solitaria vissuta nell’intimità è un fenomeno moderno e antichissimo. Il problema è che il tuo Dio personale non funziona, per la semplice ragione che quel Dio non esiste
ANNO XI NUMERO 303 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 23 DICEMBRE 2006

PAOLA, LASCIATI BENEDIRE DAL PAPA
Tu forse no, ma i tuoi capelli sciolti e i tuoi pantaloni stretti sentono l’esigenza di quella finestra su piazza San Pietro
ANNO XII NUMERO 5 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 6 GENNAIO 2007

CARA MICHELA, FIDATI DELLA TRINITA’
Tu che vai in Darfur a fare l’anticonformista perché non torni qui a dire che l’aborto è un omicidio e che domenica è il giorno del Signore e i negozi vanno chiusi? Provaci davvero a fare l’anticonformista, vedrai come ti guardano
ANNO XII NUMERO 17 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 20 GENNAIO 2007

CARA ELISA, RISCOPRI L’EROS DI CRISTO
Amica mia, attenta: la religione non vuole frenare il tuo corpo. E’ vero che Gesù in fondo non era ossessionato dal sesso, ma non sai che il Vangelo dice che è un peccato non farlo?
ANNO XII NUMERO 23 - PAG V IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 27 GENNAIO 2007

sabato 20 gennaio 2007

ex Martyrologio Romano A. D. MMIV promulgato

Die 20 ianuarii

Tertiodécimo Kaléndas februárii. Luna secúnda.

Sancti Fabiáni, papæ et mártyris, qui láicus ad pontificátum divínitus est vocátus, et fídei ac virtútis gloriósum præbens exémplum, in persecutióne Décii imperatóris passus est; de eiúsdem agóne gratulátur sanctus Cypriánus quod in regénda Ecclésia irreprehensibile illustréque testimónium perfecísset. Eius corpus Romæ via Appia in cœmetério Callísti hac die depósitum est.

Sancti Sebastiáni, mártyris, qui, ex Medioláno oriúndus, ut refert sanctus Ambrósius, Romam proféctus est, quando persecutiónes acérbæ fervébant, ibíque passus est; ítaque in Urbe, quo hospes advénerat, domicílium immortalitátis perpétuæ obtínuit. Eius deposítio item Romæ ad Catacúmbas hac eádem die evénit.


domenica 14 gennaio 2007

riflessioni "a freddo" sul caso Welby

Eutanasia o accanimento terapeutico?
oggi navigando mi sono imbattuto in un articolo di Claudia Navarini che mi è parso molto saggio. Riporto alcune righe:

In attesa di ottenere l’abbassamento della soglia di resistenza dell’opinione pubblica e degli attori istituzionali e culturali, si insisterà nel chiedere non l’eutanasia – parola ancora sospetta – ma la “cessazione dell’accanimento terapeutico”. E così, cedendo sulla pretesa “necessità” di “una qualche regolamentazione” dell’accanimento, si regala ai fautori dell’eutanasia dapprima la voluta confusione sull’accanimento stesso e poi, fatalmente, una legge sull’eutanasia, magari preparata giuridicamente dai testamenti biologici e i loro immancabili “paletti severissimi”, ovvero quei limiti che, presentati come garanzie, indicano solo quale sarà il primo passo della successiva mossa propagandistica e legislativa

Tutto l'articolo si può leggere su:
http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=10355

A presto

sabato 6 gennaio 2007

una promessa

questi tre articoli li scrissi nella primavera del 2004, ma li ho voluti ripubblicare ora.

Naturalmente i post normali non saranno mai così lunghi.
Se capiterà di produrre qualcosa di lungo metto il link e lo andrà a vedere chi vuole.

A presto

Tra l’ortodossia e le eresie. Quasi una curiosità…

Tra le tante “chicche” del romanzo di Brown ce n’è una che, pur essendo semplicemente accennata, è importante per tenere in piedi la dottrina di Teabing e compagni:

«Ti faccio notare un aspetto interessante» intervenne Langdon. «Chi sceglieva i vangeli proibiti invece della versione di Costantino era definito eretico. L’origine del termine “eretico” risale a quel momento della storia. La parola latina haereticus deriva da “scelta”. Coloro che sceglievano la storia originale di Cristo furono i primi eretici del mondo.»[1]

In questo contributo ci soffermeremo brevemente su questa affermazione, per vedere cosa c’è dietro. Iniziamo a schematizzare quanto appena riportato. Il testo dice che: 1) l’appellativo di eretico spettava a chi sceglieva i vangeli apocrifi; 2) questo termine nasce sotto l’impero di Costantino; 3) la parola latina haereticus deriva da “scelta”.

Il concetto tradizionale di eresia è quello di deviazione dalla dottrina comunemente accettata dalla comunità ecclesiale nel suo insieme. Secondo questa definizione si sarebbe dapprima formata l’ortodossia, cioè la retta dottrina discendente dagli Apostoli e da questi trasmessa ai loro successori, e in seguito qualcuno gli avrebbe opposto dubbi o resistenze. Tale idea è già ben chiara e articolata quando Tertulliano scrive, verso il 200, il trattato De praescritione haereticorum, ed è rimasta sostanzialmente accettata da tutti fino all’inizio del secolo scorso. Risale infatti al 1934 la prima edizione della capitale opera di Water Bauer[2] che poneva tutta la questione sotto termini completamente diversi: secondo lo studioso, nel primo secolo dell’era cristiana ogni comunità aveva una dottrina differente dalle altre, e solo nel secolo successivo la Chiesa di Roma avrebbe fatto valere il suo peso politico ed economico emarginando le “ortodossie” delle comunità periferiche che furono via via abbandonate da tutti e qualificate infine come “eresie”. L’italiano Manlio Simonetti, in un importante articolo del 1992[3], ha dimostrato che il processo di formazione dell’ortodossia va collocato sì nel II secolo, ma non come soppressione di pensieri legittimi all’interno della cristianità, bensì in risposta alle prime due “crisi” che questa dovette attraversare, che a ben vedere hanno entrambe radici nel I secolo: da una parte la volontà dei giudaizzanti, già stigmatizzata da San Paolo, che inquadravano il cristianesimo come una semplice scuola di pensiero all’interno dell’ebraismo, dall’altra la deriva tutta ellenica dello gnosticismo, che negava l’identificazione tra il Dio Creatore (secondo loro un demiurgo malvagio) e il Dio Padre di Gesù Cristo. Lo studioso fa notare che nella lotta contro queste dottrine ci sia un vasto consenso fra esponenti di svariate aree del mondo allora conosciuto: è quantomeno sintomatico che due autori distanti fra loro, come Ireneo (che proviene dall’Asia Minore ed è Vescovo a Lione, in Gallia) e Origene (di Alessandria d’Egitto) usino, davanti a queste problematiche, argomenti molto simili. Nell’ambito di tutta questa riflessione teologica, che porterà al raggiungimento di uno scheletro molto essenziale di ortodossia alla fine del II secolo[4], Roma è certamente una delle aree più marginali, benché non sia del tutto assente e benché questo non significhi che non fosse tenuta in grande considerazione fin dagli albori del cristianesimo.

Quanto alla parola eresia / eretico, la questione si dispiega in un arco temporale più vasto. Nel greco classico aresij non ha assolutamente un’accezione negativa, ma indica semplicemente la “scelta” di un particolare pensiero, una corrente filosofica o fazione politica[5]. Questa accezione neutra del termine si trova anche negli Atti degli Apostoli, ad esempio quando si indicano le varie componenti del sinedrio giudaico, come «la parte dei Sadducei»[6], o «la parte dei Farisei»[7]; addirittura haíresis identifica a volte la “parte” cristiana[8]. Tuttavia in altri scritti del Nuovo Testamento il termine sembra caricarsi di un significato negativo: indica le divisioni nella comunità[9], rientra nell’elenco delle «opere della carne» contrapposte alle «opere dello spirito»[10], fino a giungere, con il corrispondente aggettivo eretico, alla negativa accezione tecnica che avrà nel cristianesimo e nella teologia successiva: «Dopo un primo e un secondo ammonimento evita l’uomo eretico (hairetikòn ánthrōpon), sapendo che un tale individuo è ormai pervertito e continuerà a peccare condannandosi da sé medesimo»[11].

Vi è poi da notare che la nuova coloritura non prescinde dal senso etimologico, perché come è vero che aƒršw significa “scegliere”, così l’eretico in senso stretto opera una scelta fra le verità di fede, optando per una a scapito dell’altra, ingigantendo un aspetto e tralasciandone un altro[12].

Al termine di questa breve nota su ortodossia ed eresia, tracciamo un bilancio in riferimento alla citata posizione di Dan Brown. Avevamo individuato tre affermazioni ben definite, la prima delle quali associava l’idea dell’eretico alla scelta dei vangeli apocrifi. A questo proposito sarà utile ricordare due esempi. Il primo è quello di Marcione, che fu condannato dalla comunità di Roma nel 144. Costui non solo non optò per i vangeli apocrifi, ma ridusse tutta la Sacra Scrittura al Vangelo, un libro che riportava l’opera di San Luca, e all’Apostolico, con gli scritti di san Paolo: entrambe queste parti furono da lui “purificate” da quelle che riteneva infiltrazioni giudaiche, per cui il risultato finale fu quello di avere le sole composizioni di Luca e Paolo, e per giunta abbondantemente mutilate. Altro che i “più di ottanta vangeli” e la varietà degli scritti tanto decantata da Brown! Il secondo esempio è quello dell’eretico che più ha fatto penare la Chiesa, gettandola in uno stato molto simile a quello di una guerra civile: Ario. Il negatore della piena divinità di Cristo fondava la sua tesi semplicemente… sulla Sacra Scrittura, sugli stessi testi usati dai suoi oppositori. E il brano da lui preferito nell’argomentazione non era un Vangelo, ma un libro dell’Antico Testamento. Cade così il collegamento diretto fra l’eretico e la scelta dei vangeli apocrifi. È vero che abbiamo il caso delle sette gnostiche, ma l’essere eretico non significa semplicemente scegliere i vangeli non riconosciuti dalla Chiesa.

Abbiamo visto poi che il termine eretico, anche nella sua accezione negativa assunta nel cristianesimo, precede sicuramente Costantino: la lettera a Tito con le indicazioni sull’hairetikòn ánthrōpon risale al più tardi alla fine del I secolo, comunque più di 200 anni prima dell’epoca costantiniana! E, infine, per vedere che la parola haereticus, pur assunta dal latino, non è in origine latina, basterà aprire un qualunque dizionario di greco.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003, p. 275.

[2] W. Bauer, Orthodoxy and Heresy in Earliest Christianity, tr. ingl. Philadelphia Seminar in Christian Origins, Sigler Press, Mifflintown (PA) 1996. Si tratta dell’ultima edizione dell’opera con un’importante appendice (comparso per la prima volta nel 1964 e ora aumentato) sulla ricezione del libro presso la comunità scientifica.

[3] M. Simonetti, Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, in Vetera Christianorum 29 (1992), pp. 359-389.

[4] Identità fra il Creatore e il Padre di Gesù Cristo (e quindi accettazione dell’Antico Testamento), divinità e reale corporeità di Cristo, articolazione trinitaria di Dio, attività soteriologica di Cristo, libertà e responsabilità morale dell’uomo, giudizio finale: Cf. ib., p. 388.

[5] Cf., a titolo esemplicativo e non esaustivo, Platone, Gorgia, 456a 1; Demostene, Adversus Androtionem, 48, 6.

[6] At 5,17.

[7] At 15,5.

[8] At 24,5.14; 28,22.

[9] 1Cor 11,19 mantiene un tono abbastanza neutro; 2Pt 2,1 invece qualifica queste divisioni come “perniciose”.

[10] Gal 5,20.

[11] Tt 3,10. Traduzione NVB.

[12] Una buona sintesi di tutta la quérelle fin qui esposta si trova in L. Casula, Leone Magno, il conflitto fra ortodossia ed eresia nel quinto secolo, Tiellemedia editore, Roma 2002, pp. 64-70, spec. n. 103. Il paragrafo 5 del primo capitolo porta proprio il titolo «Ortodossia ed eresia»

Femminino sacro e cristianesimo

Leggendo il libro di Dan Brown[1], viene spesso da chiedersi fino a che punto egli conosca davvero il cristianesimo, oppure se finga volutamente di ignorare alcuni aspetti. Uno dei motivi che suscitano questa domanda è la posizione assunta circa i rapporti fra la dottrina della Chiesa e il femminino sacro. La posizione dell’autore può essere espressa con la lapidaria affermazione con cui Langdon comunica al capitano Fache che Saunière e Leonardo condividevano la medesima preoccupazione per il fatto che «la Chiesa ha eliminato il femminino sacro dalla religione moderna»[2]; a questa operazione di soppressione andrebbe collegato il processo di «demonizzazione della dea»[3] e della sua cancellazione dal sentire religioso contemporaneo[4]. Ma la sintesi più puntuale del pensiero viene più avanti:

Il Santo Graal rappresenta il femminino sacro e la dea. Che naturalmente abbiamo perso, perché sono stati eliminati dalla Chiesa. Il potere della donna e la sua capacità di dare vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predomino maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro. È stato l’uomo, non Dio, a creare il concetto di “peccato originale”, secondo cui Eva ha assaggiato la mela e procurato la caduta della razza umana. La donna, che un tempo era la sacra generatrice di vita, adesso era diventata il nemico. (…)

La Genesi ci dice che Eva è stata creata da una costole di Adamo. La donna divenne una derivazione dell’uomo. E una derivazione peccaminosa. Per la dea, la genesi fu l’inizio della fine[5].

Come si vede, tutta la colpa della demonizzazione della dea risiede nella Chiesa, e nulla si dice – ad esempio – a proposito del fatto che la Genesi è maturata in contesto giudaico, raggiungendo la sua redazione definitiva al più tardi nel V sec. a.C., e che la comunità cristiana si è limitata a recepirla e casomai a reinterpretarla[6]. Desta più di qualche sospetto la diversità di trattamento che Brown riserva a cristianesimo ed ebraismo: forse la ragione è una tacita sottomissione alla legge non scritta, ma molto nota, del politically correct che vieta di attaccare gli ebrei per non essere tacciati di antisemitismo? In questo caso si direbbe proprio, con uno studioso americano, che l’anticattolicesimo è l’ultimo pregiudizio accettabile[7]! Ma a proposito di giudaismo, anche quanto a questo non mancano le imprecisioni e i dati abbondantemente romanzati. Ecco un esempio:

Gli studenti ebrei di Langdon rimanevano senza parole quando diceva loro che l’antica tradizione ebraica comprendeva rituali sessuali. “E nel tempio, nientemeno.” Gli antichi ebrei credevano che il sancta sanctorum, nel Tempio di Salomone, ospitasse non solo Dio, ma anche una divinità femminile, potente e uguale a lui, Shekinah. Gli uomini che cercavano la completezza spirituale e si recavano nel tempio per fare visita alle sacerdotesse – o hierodule – con cui si congiungevano e avevano l’esperienza del divino attraverso l’unione fisica. Il tetragramma ebraico yhwh – il nome sacro di Dio – derivava infatti da Yahweh ovvero Geova, androgina unione fisica tra il maschile “Jah” e il nome preebraico di Eva, “Hawah” o “Havah”[8].

Naturalmente però la demonizzazione del sesso ha investito anche le altre religioni, ma solo dopo che la Chiesa diede inizio a questo processo. Dire che quanto viene affermato in quest’ultima citazione è ridicolo è poco! A iniziare dal fatto che le “sacerdotesse” (nella Bibbia nessuno le ha mai viste…) hanno un nome greco (hierodule), e che il nome “protoebraico” di Eva è «“Hawah” o “Havah”», quando “v” e “w” – l’unica differenza fra le due letture proposte – traslitterano la medesima consonante semitica w. Per non parlare della vocalizzazione peregrina di jhwh: basta aprire una qualsiasi grammatica ebraica per apprendere che ignoriamo quali siano le sue vocali proprie e che le vocalizzazioni che si ipotizzano sono basate fondendovi le vocali di ’adōnāj, il termine che si legge nella sinagoga quando sui sacri rotoli si incontrano le consonanti jhwh[9]. Nel Tempio poi abbiamo pratiche di hieros gamos? Ma andiamo! Ecco, per togliere ogni dubbio, un testo del profeta Osea riferito a pratiche, addirittura esterne al Tempio (immaginiamoci cosa avrebbe detto se avesse avuto il minimo sentore che tali cose si praticavano nel cuore del giudaismo…), simili allo hieros gamos, dalle quali Israele era circondato e che si infiltravano soprattutto nel regno del Nord:

Accusate vostra madre, accusatela, / perché essa non è più mia moglie / e io non sono più suo marito! / Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni / e i segni del suo adulterio dal suo petto;

altrimenti la spoglierò tutta nuda / e la renderò come quando nacque / e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, / e la farò morire di sete.

I suoi figli non li amerò, / perché sono figli di prostituzione.

La loro madre si è prostituita, / la loro genitrice si è coperta di vergogna. / Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio lino, / il mio olio e le mie bevande”.

Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine / e ne cingerò il recinto di barriere / e non ritroverà i suoi sentieri.

Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima / perché ero più felice di ora”.

Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio / e le prodigavo l’argento e l’oro / che hanno usato per Baal.

Perciò anch’io tornerò a riprendere / il mio grano, a suo tempo, / il mio vino nuovo nella sua stagione; / ritirerò la lana e il lino / che dovevan coprire le sue nudità.

Scoprirò allora le sue vergogne / agli occhi dei suoi amanti / e nessuno la toglierà dalle mie mani.

Farò cessare tutte le sue gioie, / le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità.

Devasterò le sue viti e i suoi fichi, / di cui essa diceva: / “Ecco il dono che mi han dato i miei amanti”. / La ridurrò a una sterpaglia / e a un pascolo di animali selvatici.

Le farò scontare i giorni dei Baal, / quando bruciava loro i profumi, / si adornava di anelli e di collane / e seguiva i suoi amanti / mentre dimenticava me! / - Oracolo del Signore[10].

Siamo di fronte a un testo dell’VIII secolo a.C., abbastanza precedente a Costantino, per la gioia di Brown! Rimane un ultimo “mito” da sfatare, la presenza di «una divinità femminile, potente e uguale a jhwh, Shekinah». Questa affermazione va contro l’essenza stessa del monoteismo giudaico, che vedeva nel Signore l’unico Dio. Con il termine shekinah si intendeva la “presenza” di Dio in mezzo al popolo, visto che sheken significa “abitazione, domicilio”, shakēn “abitante”, sukkāh, “tenda”, e via dicendo. Poiché la tenda era al tempo dell’Esodo – un tempo che in seguito nella storia di Israele verrà idealizzato abbondantemente – il luogo dell’incontro con Dio, questa radice finì per diventare il termine tecnico indicante la presenza efficace di jhwh in mezzo al popolo, specialmente nel culto presso il Tempio. Ecco svelato il “mistero” di questa presunta divinità femminile giudaica. Ma potremmo anche aggiungere che questo era solo uno dei termini che uno stadio di ebraismo non molto antico aveva individuato per porre delle figure di mediazione fra la trascendenza di jhwh e gli uomini: basti pensare alla “Parola”, dabar, alla “Sapienza”, chokmāh, allo “Spirito”, rûach. Come si vede abbiamo individuato altre tre figure, ma non per questo siamo autorizzati a dare loro consistenza personale tale da costituire un “Olimpo ebraico”! Negare il monoteismo d’Israele è semplicemente negare un’evidenza storica testimoniata da tutti e in tutti i tempi. Dire poi, o far intendere, che la soppressione della “dea” sia stata attuata nel giudaismo per un influsso successivo del Cristianesimo è semplicemente ridicolo: sono stati gli Ebrei, casomai, e più di una volta, ad accusare i cristiani di politeismo per via del dogma trinitario.

Abbiamo dedicato queste righe all’ebraismo non solo per puntualizzare alcune cose circa le affermazioni citate sopra, ma anche nella piena coscienza di un dato che Brown sembra ignorare più di una volta: il Cristianesimo, sebbene con la novità dirompente che Cristo ha portato, si colloca nella scia e nella tradizione della religione Mosaica; in tale contesto Gesù predica, da tale ambiente provengono gli apostoli (…persino Maria Maddalena, se questo può confortare qualcuno), lì nasce la prima Chiesa. Questo retroterra ebraico sembra negato o perlomeno misconosciuto dal Codice Da Vinci, ancor più quando presenta la versione, presunta “pura”, del Cristianesimo precostantiniano. Sono molti invece gli elementi che il Cristianesimo eredita dal Giudaismo, e fra questi vi è senz’altro la presentazione di Dio con attributi “maschili”[11].

In questo frangente tuttavia non è nostro intento scaricare sugli ebrei la “colpa” di una religione apparentemente “maschilista”, ma evidenziare gli elementi per i quali risulta falsa l’affermazione di Brown secondo la quale il Cristianesimo avrebbe estromesso il femminino sacro dalla religione moderna. Vediamo nel proseguo di questo contributo degli esempi di femminino sacro prettamente cristiani: il culto della Beata Vergine Maria, la teologia delle nozze tra Cristo e la Chiesa sua sposa, alcuni segni connessi al sacramento del Battesimo (visto come la nascita a vita nuova), e altri con cui vari antichi Padri descrivono la Chiesa, quali quelli di Madre e Luna.

Il culto della Madonna ha avuto grande rilievo fin dalle origini del cristianesimo, e questa donna ha da sempre attirato le attenzioni dei cristiani. Già nel Nuovo Testamento il suo nome e la sua persona compere in momenti decisivi della vita e del ministero del figlio: la nascita, la presentazione al Tempio, l’inizio della predicazione, la croce; non va poi dimenticata la chiara attestazione dell’importanza della Madre nel nascere della Chiesa apostolica nel cenacolo.

Successivamente la figura di Maria è considerata sempre più in relazione a suo Figlio, e proprio perché il tanto vituperato concilio di Nicea (325) ribadì la fede nella sua divinità, la Madre giunse ad essere definita ai concili di Efeso (431) e Calcedonia (451) theotokos, Dei genetrix, «Madre di Dio», «colei che ha generato Dio»: quale religione ha dato mai questo titolo così sublime a una donna? Si tratta, a dir poco, di una scelta “poco maschilista”! E si badi che stiamo parlando ora del periodo posteriore alla vita di Costantino. È poi interessante vedere, circa il processo di affermazione di tale titolo mariano, ancor’oggi il più importante, il pensiero di un protagonista del concilio di Nicea, Sant’Atanasio:

Gabriele aveva dato l’annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: da te (cf. Lc 1,35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei[12].

Come tutti ben sappiamo il culto della Beata Vergine è andato via via crescendo con lo svilupparsi del Cristianesimo, e sicuramente non si potrà dire il contrario; forse si può solo tralasciare questo fatto, non menzionarlo, come fa Brown, perché è certo che basterebbe ricordarlo per far cadere, o quantomeno far sorgere qualche dubbio, circa il presunto “maschilismo” del cristianesimo.

Un altro tema per il quale il Nuovo Testamento risulta alieno alle accuse mosse nel Codice è quello della “teologia nuziale”, che vede Cristo convolare a nozze con la Chiesa; si badi che questo motivo è posto in relazione con quello mariano da molti Padri, perché come Maria, sposa del Signore, generò Cristo, così la Chiesa, di cui la Madonna è immagine, genera figli a Cristo: e questi figli sono i cristiani, ovvero il corpo stesso di Cristo: in un certo qual modo la Chiesa genera continuamente se stessa[13]. Ma torniamo al Nuovo Testamento. La Lettera agli Efesini ha delle espressioni intense, che sebbene non siano da considerare femministe ante litteram (fanno seguito all’invito alle mogli di stare sottomesse ai mariti[14]), mostrano quanto sia nobile la Donna-Chiesa agli occhi del Salvatore:

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga è alcunché di simile, ma santa e immacolata. (…)

Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa[15]!

Siamo o no in presenza, per usare le parole di Brown, di uno hieros gamos di prim’ordine? E la posizione della donna in questo caso non è forse nobilitata dalla natura divina dello sposo? E pensare che questo è uno dei testi meno lirici che descrivono le nozze mistiche di Cristo! Passiamo, ad esempio, al libro dell’Apocalisse, che identifica la Sposa dell’Agnello con la Città Santa:

Rallegriamoci ed esultiamo,

rendiamo a lui gloria,

perché sono giunte le nozze dell’Agnello;

la sua sposa è pronta,

le hanno dato una veste

di lino puro splendente[16].

Sulla scia di tali affermazioni i Padri – sia prima, sia dopo il concilio di Nicea – interpreteranno un libro dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, come vibrante canto d’amore che Cristo e la Chiesa (o Cristo e l’anima del fedele) si scambiano eternamente:

Nello sposo intendi il Cristo, nella Sposa senza macchia e ruga la Chiesa, della quale è stato scritto: per presentare a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia né ruga o alcunché di simile, ma per essere santa e immacolata[17].

Per avere un’idea del grado di lirismo a cui si può giungere nel cantare queste nozze, basti come esempio questo passo:

Poi [lo Sposo] descrive con amore spirituale la bellezza della Sposa: Le tue guance come di tortora. Loda il suo volto e si infiamma al rossore delle sue guance: è soprattutto nelle guance che appare la bellezza di una donna. Così anche noi intendiamo nelle guance la bellezza dell’anima e celebriamo nelle sue labbra e lingua l’intelligenza.

Il tuo collo è un monile: come l’ornamento che suole pendere dal collo delle vergini e porta il nome di ormískos, così, senza questo gioiello, il tuo collo stesso è un ornamento[18].

Infine consideriamo la presenza di un certo “femminino sacro” nella teologia battesimale cristiana. Partiamo questa volta dal testo dell’iscrizione sul grande battistero della Basilica romana di San Giovanni in Laterano; si tratta di piccolo poema composto da Papa Sisto III nel V secolo (circa cento anni dopo Nicea). Ecco uno degli otto distici:

virgineo fetu genetrix ecclesia natos

quos spirante deo concipit amne parit[19]

Se finora abbiamo visto le nozze fra Cristo e la Chiesa, ora ci spingiamo più avanti: Dio spirante, cioè inviando il suo Spirito, concepisce figli alla Chiesa. Nello Spirito avviene il rapporto fecondo fra i mistici coniugi, e il Battesimo è il momento del parto. Si badi a quanto sia preciso il termine amne, che indica l’acqua del sacro fonte riecheggiando il termine greco amníon, ciò che noi oggi diremmo sacco o liquido amniotico. Non è dunque una forzatura dire che si tratta di “figli legittimi” di quelle nozze di cui si parlava prima. La Chiesa oltre che sposa è dunque madre; e in quanto generatrice viene associata non raramente alla luna. Ma prima di sviluppare queste ultime affermazioni dobbiamo richiamare una problematica sollevata dal Codice, problematica su cui il romanzo è contraddittorio:

I simboli sono molto resistenti, ma il significato del pentacolo è stato alterato dalla Chiesa cattolica romana nei primi secoli. Come parte della sua campagna per eliminare la religione pagana e convertire al cristianesimo le masse, la Chiesa lanciò una campagna denigratoria contro gli dèi e le dee pagani, presentendo come diabolici i loro simboli. (…) Una potenza emergente fa propri i simboli esistenti e li degrada nel tentativo di cancellarne il significato[20].

Le sopravvivenze della religione pagana nella simbologia cristiana sono innegabili. I dischi solari egizi divennero le aureole dei santi cristiani. Le immagini di Iside che allatta il figlio Horus, divinamente concepito, divennero il modello per le immagini della Vergine Maria che allatta Gesù Bambino[21].

Prima il romanzo sembra dipingere una crociata della Chiesa volta a eliminare i simboli pagani, o a denigrarli e degradarli, poi si dice che la simbologia cristiana ha assunto pacificamente e acriticamente elementi pagani: davanti ad affermazioni difficilmente conciliabili (e si noti che in entrambi i casi è lo stesso personaggio, Langdon, a formularle) forse è meglio ricordare che la problematica è più complessa. La presa di distanza da alcuni simboli non aveva certo forme così bellicose quali quelle descritte nella prima citazione; né il passaggio di alcuni altri nell’esperienza cristiana avvenne senza una profonda riflessione tale da segnarne e modificarne radicalmente la comprensione[22]. Prendiamo a titolo di esempio proprio l’immagine della luna[23]. Nel sentire religioso ellenistico Selene era vista come divinità cosmica in relazione a Helios, il sole. Secondo le tre fasi lunari Selene era considerata morente (novilunio), generante (fase crescente), raggiante (luna piena). Nel confrontarsi con questi simboli i Padri colgono l’occasione per riflettere sul mistero di Cristo (il sole) e della Chiesa (la luna). Anche la Chiesa è morente, quando imita il suo Maestro e Signore nel tempo della persecuzione; generante, quando nel battesimo fa nascere i suoi nuovi figli; raggiante, quando la promessa della risurrezione futura si sarà realizzata.

Parlando del Battesimo, e ponendolo in relazione con la simbologia lunare ellenistica, abbiamo diversi casi di riutilizzo cristiano di materiali precedenti. Consideriamo a titolo di esempio un detto attestato da un autore pagano, Porfirio di Tiro, e da Eusebio di Cesarea: : Selene, la luna, è portatrice d’acqua nel novilunio[24]. Gli antichi consideravano il novilunio e la fase della luna crescente ad esso successiva come il tempo migliore per seminare o per intraprendere un lavoro, proprio perché in questo periodo si constatava maggiormente l’influenza della luna sulle acque; e l’acqua, l’umidità, unita al calore, era essenziale per fare germinare un nuovo ciclo vitale. Osserviamo il fenomeno che poco fa si accennava: i cristiani hanno, sì, assunto quest’immagine pagana, ma solo dopo un’attenta riflessione, evitando da una parte il rigetto e dall’altra la mancanza di originalità. Selene entra tra i simboli cristiani come sélas néon, luce nuova[25], e uno dei nomi del Battesimo usati di frequente era quello di “illuminazione”; da qui ad associare la Chiesa/Luna alla generazione/illuminazione dei figli rinati nelle acque del Battesimo il passo è breve. Tuttavia si può notare che il simbolismo pagano ne risulta profondamente ricompresso e trasformato, come in tanti altri casi per i quali rimandiamo alle indicazioni bibliografiche già fornite nelle note: niente a che vedere, comunque, con le banalizzazioni operate da Brown.

In conclusione, dopo aver visto questi elementi altamente “femminili” della religione cristiana, pienamente recepiti nella dottrina cattolica, richiamiamo alla memoria il punto da cui ci eravamo mossi:

Il potere della donna e la sua capacità di dare vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predomino maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro[26].

Abbiamo esaminato proprio “la capacità di dare la vita” della donna e la sua forte sacralità per il nostro credo; alla fine della disamina possiamo renderci conto che quanto meno non si possono fare affermazioni assolute come quella qui sopra e quest’altra, ancor più lapidaria:

La Chiesa ha eliminato il femminino sacro dalla religione moderna[27].

“Eliminato”? Forse è proprio la Chiesa, la Madre Chiesa, ad averlo conservato e nobilitato.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003.

[2] Ib., p. 63.

[3] Ib.

[4] Cf. ib., p. 149.

[5] Ib., pp. 279-280. Corsivo nel testo.

[6] Bisogna anche dire che il racconto della Genesi, che attribuisce una grande responsabilità alla donna per l’introduzione del peccato nel mondo non è isolato; l’ambiente greco, tanto apprezzato da Brown per la grande importanza che esso tributa alla “dea”, a Venere, al femminino, conosce il mito di Pandora, che riversa su una donna tutta la responsabilità del male del mondo.

[7] Cf. P. Jenkins, The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, New York 2003.

[8] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 364.

[9] G. Deiana - A. Spreafico, Guida allo studio dell’ebraico biblico, UUP - SBBF, Roma 19973, p. 20.

[10] Os 2, 4-15.

[11] Si pensi ad esempio che il titolo divino di Padre, pur essendo una peculiarità del cristianesimo, non è estraneo alla pietà giudaica: cf. Sal 103,13; Mal 2,10; più esplicitamente 1Cr 29,10; Is 63,16; 64,7.

[12] Atanasio, Ad Epiteto, 5-9: PG 26, 1058. 1062-1066. Corsivi miei. Benché il testo oggi comunemente accettato di Lc 1,35 dica semplicemente «Colui che nascerà sarà dunque santo…», Atanasio utilizzava una versione, attestata in importanti codici, che legge «Colui che nascerà da te sarà dunque santo…».

[13] Cf. Beda, Explanatio Apocalypsis, 2,12: «Benché il serpente le sia avverso, la Chiesa genera continuamente Cristo; infatti la Chiesa genera quotidianamente se stessa in quanto Chiesa».

[14] In realtà il testo greco suona un po’ più delicato della traduzione CEI 1971, letteralmente: «Siate sottomessi a vicenda nel timore di Cristo: le mogli ai propri mariti come al Signore, perché il marito è capo della moglie come anche Cristo è capo della Chiesa, Lui, il salvatore del corpo; ma come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli ai mariti in tutto» (Ef 5,21-24. Traduzione mia)

[15] Ef 5,25-27.31-32.

[16] Ap 19,7-8.

[17] Origene, Omelie sul Cantico dei Cantici, I, 1.

[18] Ib., I, 10.

[19] Con parto verginale la madre Chiesa partorisce nell’acqua i figli che Dio concepì emettendo lo Spirito.

[20] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 52.

[21] Ib., pp. 272-273.

[22] Due studi molto utili per conoscere questa problematica sono i seguenti: H. Rahner, Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani, tr. it. A. Paredi, Morcelliana, Brescia 1952; Id., Miti greci nell’interpretazione cristiana, tr. it. L. Tosti, Il Mulino, Bologna 1971.

[23] Un lungo e prezioso ragguaglio su questo tema si trova, oltre che nell’ultima opera citata, in Id., Simboli della Chiesa. L’ecclesiologia dei Padri, tr. it. L. Pusci – A. Pompei, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995. In quest’ultima parte del lavoro ci rifacciamo spesso a questo testo.

[24] Porfirio di Tiro, Perí agalmáton, 10; Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica, III, 12, 2.

[25] È questa la comune etimologia di Selene attestata, tra gli altri, in Platone, Cratilo, 409b 12.

[26] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., pp. 279-280.

[27] Ib., p. 63.

«Un’ininterrotta catena di conoscenze»: The Da Vinci Code, gnosticismo e cristianesimo. La problematica gnoseologica

“Problematica gnoseologica”: non è certo questo che ci aspettiamo quando intraprendiamo la lettura di un romanzo: un romanzo è un’opera di fantasia, certo può essere anche verosimile, ma pur sempre di fantasia si tratta. Ma allora perché sollevare il problema delle idee dell’autore sul modo di conoscere la verità? Tali questioni sarebbero più adeguate al riguardo di un’opera filosofica, o al limite di un saggio, sebbene di natura divulgativa. Eppure è necessario porsi il problema. Il Codice Da Vinci, infatti, pur presentandosi come un romanzo, esordisce con una palese contraddizione:

Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale[1].

Tutte le descrizioni di opere d’arte e architettoniche, di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà[2].

Possiamo però dubitare che la prima affermazione provenga dall’autore, in quanto è collocata sul colophon (la pagina sul retro del frontespizio), in cui sono specificate delle note editoriali, ragion per cui è molto probabile che sia stata la casa editrice a inserirla. Quanto invece alla seconda, che garantisce la veridicità di luoghi, rituali e documenti, dobbiamo dedurne che le informazioni storiche sono considerate veritiere dall’autore; ancor più se consideriamo che egli stesso ha affermato il 3 novembre 2003, davanti alle telecamere del network americano ABC, di credere nelle tesi sostenute da alcuni personaggi del libro (Sir Teabing e Langdon), e che se gli venisse chiesto di scrivere un saggio (e quindi non un romanzo) su tali argomenti, ribadirebbe senza problemi queste stesse posizioni[3]. Per questo motivo non è fuori luogo trattare la dottrina insegnata dall’opera di Brown senza concedere nessuna indulgenza determinata dal genere letterario, che risulta essere, in fin dei conti, solo una copertura.

Cosa intendiamo per “problematica gnoseologica”? Uno dei tratti caratteristici, un vero asse portante, de Il Codice Da Vinci: la modalità con cui “il segreto” custodito dal Priorato di Sion viene conservato e tramandato. Gran parte del romanzo infatti, per non dire tutto, non avrebbe alcun senso se noi togliessimo questa convinzione di fondo: nella storia hanno coesistito due verità, una pubblica (la mistificazione propagandata dalla Chiesa) e una privata (la vera storia di Gesù e Maria Maddalena, nonché della loro discendenza reale, il sang real). Questa seconda versione dei fatti, meno nota ma – a detta dell’autore – l’unica aderente alla realtà, si è tramandata di generazione in generazione, passando di bocca in bocca. Il problema principale di Saunière negli ultimi minuti di vita non è, come a torto riterrà in seguito la polizia giudiziaria, indicare il suo assassino, ma far sì che la vera “conoscenza” non si perda per sempre senza alcuna possibilità di continuare a essere tramandata nella storia:

La paura che adesso l’attanagliava era assai superiore a quella della morte.

“Devo trasmettere il segreto” (…)

“Devo trovare un modo…”

Era intrappolato all’interno della Grande Galleria ed esisteva solo una persona al mondo a cui passare la fiaccola[4].

È evidente che senza questo “segreto” il romanzo cade: non ci sarebbe il movente dell’omicidio di Saunière, né quello per l’eliminazione dei tre sénéchaux e di Sorella Sandrine, la custode di Saint-Sulplice, un’altra assertrice di quell’unica verità ora in pericolo per sempre: «Gesù ci ha lasciato un solo, vero messaggio. (…) La nostra grande verità è persa per sempre»[5]. Ma senza il “segreto” non avrebbe senso neppure la ricerca, successiva agli omicidi, operata da Langdon e Sophie: insomma, possiamo dire che questa verità per iniziati è l’essenza del romanzo, ed è perfettamente identificabile con il “Codice Da Vinci” in quanto tale.

A fronte di queste considerazioni risulta immediato, per chi è almeno appena addentrato nel mondo dell’antichità cristiana, il paragone con la prima grande crisi del cristianesimo delle origini: il confronto - scontro con l’eresia gnostica. Lo gnosticismo è quell’insieme di dottrine, molto variegate e distinte in varie scuole, che insegnano il dualismo metafisico (due principi autonomi di bene e di male, identificati spesso con lo sdoppiamento del Dio dell’Antico Testamento, il malvagio Demiurgo creatore della materia corruttibile, e quello del Nuovo, il buon Padre governatore dello Spirito), nonché il dualismo cristologico (la natura umana di Cristo è solo apparenza, mentre la sua vera consistenza è quella di un essere completamente divino senza affezioni umane di alcun genere: anche la morte in croce è stata pura apparenza); ma l’analogia principale con quanto Il Codice Da Vinci insegna è il modo in cui queste cose sono state rivelate e trasmesse. Non tutti gli uomini sono degni della Verità: ragion per cui Gesù – oltre all’insegnamento pubblico, dal quale ha tratto origine l’insegnamento tradizionale della Chiesa – ha dettato agli apostoli e ai discepoli più stretti un’istruzione privata, da trasmettere solo agli uomini “pneumatici”, gli spirituali o gli eletti. E così personaggi come Valentino, Basilide, Cerinto e altri trasmettevano nelle loro scuole gli insegnamenti in questione a partire dagli albori del II secolo. Il Codice Da Vinci stabilisce un esplicito legame con lo gnosticismo quando pone i documenti di Nag Hammadi, la più grande biblioteca gnostica mai rinvenuta, come verità storica sui fatti e sui detti di Gesù, ma anche nel modo della trasmissione del segreto di cui stiamo parlando. È pur vero che dobbiamo fare delle distinzioni: se per gli gnostici tenere riservate le notizie era un modo per difendersi dal mondo materiale e malvagio, per i membri del fantomatico Priorato di Sion questo diventa una necessità non desiderata e imposta dalle circostanze, e comunque dall’esterno; tuttavia, a parte ciò, il concetto di una «ininterrotta catena di conoscenze» rimane identico. Si pongono allora oggi gli stessi problemi incontrati nei secoli II e III. Esaminiamoli.

Poiché la dottrina su Gesù del Codice Da Vinci è in netto e aperto contrasto con quella dei quattro Vangeli canonici, è chiaro che ci troviamo a un bivio: o è vera una versione o è vera l’altra. L’autore del romanzo cerca dunque di asserire la sua verità, fondandola sullo smantellamento delle prove contrarie, in un procedere che possiamo così descrivere in progressione: a) i Vangeli sono dei falsi, in quanto editi da Costantino nel 325, nel quadro di una completa revisione della Bibbia; risultato: smantellamento di qualsiasi prova proveniente dalla Scrittura; b) gli Apostoli maschi di Gesù, specialmente Pietro, sono presentati come manomissori del vero messaggio di Cristo; risultato: smantellamento di qualsiasi prova proveniente dalla tradizione apostolica, anche orale; c) l’unica verità proviene da Maria Maddalena e dalla sua linea ereditaria. Il quadro potrebbe apparire a prima vista anche convincente, ma ci chiediamo: Quali testimonianze e soprattutto in quali documenti si trova la verità su Gesù custodita dalla linea della Maddalena? La risposta, l’unica che dà il romanzo, è quella che ci riconduce a Nag Hammadi e Qumran (a volte accostati indebitamente dall’autore, che forse non sa che stiamo parlando di epoche diverse, ambienti culturali e religiosi diversi e, dulcis in fundo, nazioni diverse); in particolare l’episodio del bacio di Gesù è tratto da un opera dal titolo «Vangelo di Filippo»: ebbene sì, un apostolo, visto che non viene sollevato alcun problema di attribuzione. Poco importa se l’autorità degli apostoli è già stata messa in dubbio: ci troviamo davanti a una delle tante contraddizioni del testo. L’unica prova documentaria dunque è una prova di cui si è negato implicitamente il valore. Una bella zappa sui piedi; ben si addice, a questo proposito, quello che Ireneo di Lione scriveva già verso la fine del II secolo:

Quando si portano argomenti scritturistici contro di loro prendono ad accusare le stesse Scritture dicendo che il testo è corrotto, che è apocrifo, che è in contraddizione con altri, che non può provare in esso la verità chi non conosce la tradizione. La verità, essi dicono, non è trasmessa solo per scritto, ma anche mediante la viva voce; per questo l’Apostolo avrebbe detto: “Parliamo di sapienza tra i perfetti, ma non la sapienza di questo mondo” (1Cor 2,6). (…)

Quando poi li richiamiamo alla tradizione apostolica custodita nelle varie chiese dalla successione dei presbiteri, allora si oppongono alla tradizione dicendo che, essendo essi superiori non solo ai presbiteri, ma agli stessi apostoli, essi soli hanno scoperto la verità pura. (…)

Essi non credono né alle Scritture né alla tradizione[6].

Il problema di fondo del porsi contro l’autorità degli apostoli, fondando un “esercito” capeggiato da Maria Maddalena, è che ci si ritrova davanti a un bivio: o ci si fonda su testi gnostici, o ci si fonda su una non meglio definita tradizione orale: nel primo caso abbiamo visto la palese contraddizione e abbiamo ascoltato il biasimo di Ireneo contro chi ora nega quell’autorità, ora ne fa largo uso; nel secondo ci potremmo chiedere chi ci garantisce questa tradizione senza il suffragio di uno straccio di testo. Si potrebbe obiettare che tramandarlo con un linguaggio chiaro, benché non scritto né verbale, sia il proprium dell’opera di Leonardo: ma al proposito basti la lapidaria dichiarazione di Veronica Field, docente alla University of London e presidente della Leonardo Da Vinci Society, che ha affermato essere «assurda» l’idea stessa di un codice nascosto fra le opere dell’artista italiano[7]. Per cui l’unico fondamento rimasto è quello che poggia sulla fantasia dell’autore: mille miglia lontano dall’essere una prova scientifica.

A questo punto, il colpo di scena (in fondo il romanzo ne ha tanti…) è che Brown sembra aver previsto uno smantellamento sistematico di questo tipo ai danni della sua dottrina; non resta quindi che rifugiarsi in una serie di affermazioni tanto comode per lui, quanto fuorvianti agli occhi del semplice senso comune. Vediamone alcune:

Nessuno dice che Cristo fosse una mistificazione, o nega che abbia camminato sulla terra e ispirato milioni di uomini verso una vita migliore[8].

Però (…) bisogna anche dire che se la Chiesa moderna vuole sopprimere quei documenti è perché è convinta della tradizionale visione di Cristo. Nel vaticano ci sono molti uomini di profonda fede religiosa, certi che questi documenti siano testimonianze false[9].

Alla fine, quale versione credere diventa una questione di fede e di ricerca personale, ma almeno l’informazione è sopravvissuta[10].

È fin troppo evidente il tentativo di liquidare ogni eventuale confutazione delle tesi del libro come semplice questione di scelte e convinzioni personali, nell’atmosfera oggi molto diffusa di “rispetto delle idee altrui” o “tolleranza”, sebbene spesso tali atteggiamenti siano intrisi di profonda ipocrisia. Tuttavia, quest’ultimo tentativo non tiene conto del fatto che la dottrina esposta dai personaggi del romanzo, e nella quale Dan Brown crede, non riguarda l’adesione o il rifiuto di un dato di fede, ma lo stesso dato, il quid dell’opera e dell’insegnamento di Gesù. Cerchiamo di spiegarci: una cosa è che una persona si proclami Marxista ed eviti di molestare chi non si riconosce nelle sue posizioni; altra è che inizi a proclamare su basi che stanno al confine tra la realtà e la fantasia che Karl Marx ha insegnato a mettere in comune le mogli e non tutto il resto, o a tollerare la lotta di classe solo se operata dai padroni a danno degli operai e non viceversa, e così via. Quello che cerchiamo di far comprendere è che la vita, l’opera, l’insegnamento di Gesù sono dati storici, e come tali sono oggettivi e indagabili con rigorosi criteri scientifici, sebbene con diversi approcci storiografici: in tal senso nessuno può scegliere alcunché, allo stesso modo in cui non è possibile scegliere di credere che gli Stati Uniti abbiano perso le due guerre mondiali; o meglio, se qualcuno lo scegliesse, resterebbe comunque il fatto che le hanno vinte!

Allora, anche solo umanamente, davanti a Cristo non si può “scegliere”, cioè presumere di determinare autonomamente, che vita egli abbia vissuto sulla Terra o che cosa abbia insegnato, ma ci si ritrova nella condizione di poter aderire o meno alla proposta cristiana.

L’ultima strenua difesa di Brown, sebbene accompagnata da un sorriso all’apparenza amichevole, è caduta.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003, p. 4.

[2] Ib., p. 9.

[3] Cf. D. L. Bock, Breaking the Da Vinci Code, trad. it. B. Volpe, Il Codice Da Vinci. Verità e menzogne, Armenia, Milano 2005, p. 17.

[4] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 13.

[5] Ib., p. 163.

[6] Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 2, 1-2; trad. it. V. Dellagiacoma, Contro le eresie, Cantagalli, Siena 19963, vol. I, pp. 232-233.

[7] Cf. Massimo Introvigne, Un «Codice» spazzatura, in Studi Cattolici XLVIII/516 (2004), p. 110.

[8] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 274.

[9] Ib., p. 275.

[10] Ib., p. 299.

Benvenuti sul mio blog

è passato un po' di tempo da quando qualche amico mi suggerì di creare un blog personale. Finalmente prendo in considerazione seriamente il suo consiglio e mi metto all'opera... speriamo che il tempo non sia troppo tiranno!

Per ora, nei prossimi giorni pubblicherò alcuni articoli che avevo già preparato qualche tempo fa (un bel po' di tempo fa) sul codice da vinci... giusto per non perderli e non lasciarli in meandri troppo disparati del web. Qui forse saranno più facilmente reperibili e commentabili

Buon anno a tutti