sabato 6 gennaio 2007

«Un’ininterrotta catena di conoscenze»: The Da Vinci Code, gnosticismo e cristianesimo. La problematica gnoseologica

“Problematica gnoseologica”: non è certo questo che ci aspettiamo quando intraprendiamo la lettura di un romanzo: un romanzo è un’opera di fantasia, certo può essere anche verosimile, ma pur sempre di fantasia si tratta. Ma allora perché sollevare il problema delle idee dell’autore sul modo di conoscere la verità? Tali questioni sarebbero più adeguate al riguardo di un’opera filosofica, o al limite di un saggio, sebbene di natura divulgativa. Eppure è necessario porsi il problema. Il Codice Da Vinci, infatti, pur presentandosi come un romanzo, esordisce con una palese contraddizione:

Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale[1].

Tutte le descrizioni di opere d’arte e architettoniche, di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà[2].

Possiamo però dubitare che la prima affermazione provenga dall’autore, in quanto è collocata sul colophon (la pagina sul retro del frontespizio), in cui sono specificate delle note editoriali, ragion per cui è molto probabile che sia stata la casa editrice a inserirla. Quanto invece alla seconda, che garantisce la veridicità di luoghi, rituali e documenti, dobbiamo dedurne che le informazioni storiche sono considerate veritiere dall’autore; ancor più se consideriamo che egli stesso ha affermato il 3 novembre 2003, davanti alle telecamere del network americano ABC, di credere nelle tesi sostenute da alcuni personaggi del libro (Sir Teabing e Langdon), e che se gli venisse chiesto di scrivere un saggio (e quindi non un romanzo) su tali argomenti, ribadirebbe senza problemi queste stesse posizioni[3]. Per questo motivo non è fuori luogo trattare la dottrina insegnata dall’opera di Brown senza concedere nessuna indulgenza determinata dal genere letterario, che risulta essere, in fin dei conti, solo una copertura.

Cosa intendiamo per “problematica gnoseologica”? Uno dei tratti caratteristici, un vero asse portante, de Il Codice Da Vinci: la modalità con cui “il segreto” custodito dal Priorato di Sion viene conservato e tramandato. Gran parte del romanzo infatti, per non dire tutto, non avrebbe alcun senso se noi togliessimo questa convinzione di fondo: nella storia hanno coesistito due verità, una pubblica (la mistificazione propagandata dalla Chiesa) e una privata (la vera storia di Gesù e Maria Maddalena, nonché della loro discendenza reale, il sang real). Questa seconda versione dei fatti, meno nota ma – a detta dell’autore – l’unica aderente alla realtà, si è tramandata di generazione in generazione, passando di bocca in bocca. Il problema principale di Saunière negli ultimi minuti di vita non è, come a torto riterrà in seguito la polizia giudiziaria, indicare il suo assassino, ma far sì che la vera “conoscenza” non si perda per sempre senza alcuna possibilità di continuare a essere tramandata nella storia:

La paura che adesso l’attanagliava era assai superiore a quella della morte.

“Devo trasmettere il segreto” (…)

“Devo trovare un modo…”

Era intrappolato all’interno della Grande Galleria ed esisteva solo una persona al mondo a cui passare la fiaccola[4].

È evidente che senza questo “segreto” il romanzo cade: non ci sarebbe il movente dell’omicidio di Saunière, né quello per l’eliminazione dei tre sénéchaux e di Sorella Sandrine, la custode di Saint-Sulplice, un’altra assertrice di quell’unica verità ora in pericolo per sempre: «Gesù ci ha lasciato un solo, vero messaggio. (…) La nostra grande verità è persa per sempre»[5]. Ma senza il “segreto” non avrebbe senso neppure la ricerca, successiva agli omicidi, operata da Langdon e Sophie: insomma, possiamo dire che questa verità per iniziati è l’essenza del romanzo, ed è perfettamente identificabile con il “Codice Da Vinci” in quanto tale.

A fronte di queste considerazioni risulta immediato, per chi è almeno appena addentrato nel mondo dell’antichità cristiana, il paragone con la prima grande crisi del cristianesimo delle origini: il confronto - scontro con l’eresia gnostica. Lo gnosticismo è quell’insieme di dottrine, molto variegate e distinte in varie scuole, che insegnano il dualismo metafisico (due principi autonomi di bene e di male, identificati spesso con lo sdoppiamento del Dio dell’Antico Testamento, il malvagio Demiurgo creatore della materia corruttibile, e quello del Nuovo, il buon Padre governatore dello Spirito), nonché il dualismo cristologico (la natura umana di Cristo è solo apparenza, mentre la sua vera consistenza è quella di un essere completamente divino senza affezioni umane di alcun genere: anche la morte in croce è stata pura apparenza); ma l’analogia principale con quanto Il Codice Da Vinci insegna è il modo in cui queste cose sono state rivelate e trasmesse. Non tutti gli uomini sono degni della Verità: ragion per cui Gesù – oltre all’insegnamento pubblico, dal quale ha tratto origine l’insegnamento tradizionale della Chiesa – ha dettato agli apostoli e ai discepoli più stretti un’istruzione privata, da trasmettere solo agli uomini “pneumatici”, gli spirituali o gli eletti. E così personaggi come Valentino, Basilide, Cerinto e altri trasmettevano nelle loro scuole gli insegnamenti in questione a partire dagli albori del II secolo. Il Codice Da Vinci stabilisce un esplicito legame con lo gnosticismo quando pone i documenti di Nag Hammadi, la più grande biblioteca gnostica mai rinvenuta, come verità storica sui fatti e sui detti di Gesù, ma anche nel modo della trasmissione del segreto di cui stiamo parlando. È pur vero che dobbiamo fare delle distinzioni: se per gli gnostici tenere riservate le notizie era un modo per difendersi dal mondo materiale e malvagio, per i membri del fantomatico Priorato di Sion questo diventa una necessità non desiderata e imposta dalle circostanze, e comunque dall’esterno; tuttavia, a parte ciò, il concetto di una «ininterrotta catena di conoscenze» rimane identico. Si pongono allora oggi gli stessi problemi incontrati nei secoli II e III. Esaminiamoli.

Poiché la dottrina su Gesù del Codice Da Vinci è in netto e aperto contrasto con quella dei quattro Vangeli canonici, è chiaro che ci troviamo a un bivio: o è vera una versione o è vera l’altra. L’autore del romanzo cerca dunque di asserire la sua verità, fondandola sullo smantellamento delle prove contrarie, in un procedere che possiamo così descrivere in progressione: a) i Vangeli sono dei falsi, in quanto editi da Costantino nel 325, nel quadro di una completa revisione della Bibbia; risultato: smantellamento di qualsiasi prova proveniente dalla Scrittura; b) gli Apostoli maschi di Gesù, specialmente Pietro, sono presentati come manomissori del vero messaggio di Cristo; risultato: smantellamento di qualsiasi prova proveniente dalla tradizione apostolica, anche orale; c) l’unica verità proviene da Maria Maddalena e dalla sua linea ereditaria. Il quadro potrebbe apparire a prima vista anche convincente, ma ci chiediamo: Quali testimonianze e soprattutto in quali documenti si trova la verità su Gesù custodita dalla linea della Maddalena? La risposta, l’unica che dà il romanzo, è quella che ci riconduce a Nag Hammadi e Qumran (a volte accostati indebitamente dall’autore, che forse non sa che stiamo parlando di epoche diverse, ambienti culturali e religiosi diversi e, dulcis in fundo, nazioni diverse); in particolare l’episodio del bacio di Gesù è tratto da un opera dal titolo «Vangelo di Filippo»: ebbene sì, un apostolo, visto che non viene sollevato alcun problema di attribuzione. Poco importa se l’autorità degli apostoli è già stata messa in dubbio: ci troviamo davanti a una delle tante contraddizioni del testo. L’unica prova documentaria dunque è una prova di cui si è negato implicitamente il valore. Una bella zappa sui piedi; ben si addice, a questo proposito, quello che Ireneo di Lione scriveva già verso la fine del II secolo:

Quando si portano argomenti scritturistici contro di loro prendono ad accusare le stesse Scritture dicendo che il testo è corrotto, che è apocrifo, che è in contraddizione con altri, che non può provare in esso la verità chi non conosce la tradizione. La verità, essi dicono, non è trasmessa solo per scritto, ma anche mediante la viva voce; per questo l’Apostolo avrebbe detto: “Parliamo di sapienza tra i perfetti, ma non la sapienza di questo mondo” (1Cor 2,6). (…)

Quando poi li richiamiamo alla tradizione apostolica custodita nelle varie chiese dalla successione dei presbiteri, allora si oppongono alla tradizione dicendo che, essendo essi superiori non solo ai presbiteri, ma agli stessi apostoli, essi soli hanno scoperto la verità pura. (…)

Essi non credono né alle Scritture né alla tradizione[6].

Il problema di fondo del porsi contro l’autorità degli apostoli, fondando un “esercito” capeggiato da Maria Maddalena, è che ci si ritrova davanti a un bivio: o ci si fonda su testi gnostici, o ci si fonda su una non meglio definita tradizione orale: nel primo caso abbiamo visto la palese contraddizione e abbiamo ascoltato il biasimo di Ireneo contro chi ora nega quell’autorità, ora ne fa largo uso; nel secondo ci potremmo chiedere chi ci garantisce questa tradizione senza il suffragio di uno straccio di testo. Si potrebbe obiettare che tramandarlo con un linguaggio chiaro, benché non scritto né verbale, sia il proprium dell’opera di Leonardo: ma al proposito basti la lapidaria dichiarazione di Veronica Field, docente alla University of London e presidente della Leonardo Da Vinci Society, che ha affermato essere «assurda» l’idea stessa di un codice nascosto fra le opere dell’artista italiano[7]. Per cui l’unico fondamento rimasto è quello che poggia sulla fantasia dell’autore: mille miglia lontano dall’essere una prova scientifica.

A questo punto, il colpo di scena (in fondo il romanzo ne ha tanti…) è che Brown sembra aver previsto uno smantellamento sistematico di questo tipo ai danni della sua dottrina; non resta quindi che rifugiarsi in una serie di affermazioni tanto comode per lui, quanto fuorvianti agli occhi del semplice senso comune. Vediamone alcune:

Nessuno dice che Cristo fosse una mistificazione, o nega che abbia camminato sulla terra e ispirato milioni di uomini verso una vita migliore[8].

Però (…) bisogna anche dire che se la Chiesa moderna vuole sopprimere quei documenti è perché è convinta della tradizionale visione di Cristo. Nel vaticano ci sono molti uomini di profonda fede religiosa, certi che questi documenti siano testimonianze false[9].

Alla fine, quale versione credere diventa una questione di fede e di ricerca personale, ma almeno l’informazione è sopravvissuta[10].

È fin troppo evidente il tentativo di liquidare ogni eventuale confutazione delle tesi del libro come semplice questione di scelte e convinzioni personali, nell’atmosfera oggi molto diffusa di “rispetto delle idee altrui” o “tolleranza”, sebbene spesso tali atteggiamenti siano intrisi di profonda ipocrisia. Tuttavia, quest’ultimo tentativo non tiene conto del fatto che la dottrina esposta dai personaggi del romanzo, e nella quale Dan Brown crede, non riguarda l’adesione o il rifiuto di un dato di fede, ma lo stesso dato, il quid dell’opera e dell’insegnamento di Gesù. Cerchiamo di spiegarci: una cosa è che una persona si proclami Marxista ed eviti di molestare chi non si riconosce nelle sue posizioni; altra è che inizi a proclamare su basi che stanno al confine tra la realtà e la fantasia che Karl Marx ha insegnato a mettere in comune le mogli e non tutto il resto, o a tollerare la lotta di classe solo se operata dai padroni a danno degli operai e non viceversa, e così via. Quello che cerchiamo di far comprendere è che la vita, l’opera, l’insegnamento di Gesù sono dati storici, e come tali sono oggettivi e indagabili con rigorosi criteri scientifici, sebbene con diversi approcci storiografici: in tal senso nessuno può scegliere alcunché, allo stesso modo in cui non è possibile scegliere di credere che gli Stati Uniti abbiano perso le due guerre mondiali; o meglio, se qualcuno lo scegliesse, resterebbe comunque il fatto che le hanno vinte!

Allora, anche solo umanamente, davanti a Cristo non si può “scegliere”, cioè presumere di determinare autonomamente, che vita egli abbia vissuto sulla Terra o che cosa abbia insegnato, ma ci si ritrova nella condizione di poter aderire o meno alla proposta cristiana.

L’ultima strenua difesa di Brown, sebbene accompagnata da un sorriso all’apparenza amichevole, è caduta.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003, p. 4.

[2] Ib., p. 9.

[3] Cf. D. L. Bock, Breaking the Da Vinci Code, trad. it. B. Volpe, Il Codice Da Vinci. Verità e menzogne, Armenia, Milano 2005, p. 17.

[4] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 13.

[5] Ib., p. 163.

[6] Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 2, 1-2; trad. it. V. Dellagiacoma, Contro le eresie, Cantagalli, Siena 19963, vol. I, pp. 232-233.

[7] Cf. Massimo Introvigne, Un «Codice» spazzatura, in Studi Cattolici XLVIII/516 (2004), p. 110.

[8] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 274.

[9] Ib., p. 275.

[10] Ib., p. 299.

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