sabato 6 gennaio 2007

Femminino sacro e cristianesimo

Leggendo il libro di Dan Brown[1], viene spesso da chiedersi fino a che punto egli conosca davvero il cristianesimo, oppure se finga volutamente di ignorare alcuni aspetti. Uno dei motivi che suscitano questa domanda è la posizione assunta circa i rapporti fra la dottrina della Chiesa e il femminino sacro. La posizione dell’autore può essere espressa con la lapidaria affermazione con cui Langdon comunica al capitano Fache che Saunière e Leonardo condividevano la medesima preoccupazione per il fatto che «la Chiesa ha eliminato il femminino sacro dalla religione moderna»[2]; a questa operazione di soppressione andrebbe collegato il processo di «demonizzazione della dea»[3] e della sua cancellazione dal sentire religioso contemporaneo[4]. Ma la sintesi più puntuale del pensiero viene più avanti:

Il Santo Graal rappresenta il femminino sacro e la dea. Che naturalmente abbiamo perso, perché sono stati eliminati dalla Chiesa. Il potere della donna e la sua capacità di dare vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predomino maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro. È stato l’uomo, non Dio, a creare il concetto di “peccato originale”, secondo cui Eva ha assaggiato la mela e procurato la caduta della razza umana. La donna, che un tempo era la sacra generatrice di vita, adesso era diventata il nemico. (…)

La Genesi ci dice che Eva è stata creata da una costole di Adamo. La donna divenne una derivazione dell’uomo. E una derivazione peccaminosa. Per la dea, la genesi fu l’inizio della fine[5].

Come si vede, tutta la colpa della demonizzazione della dea risiede nella Chiesa, e nulla si dice – ad esempio – a proposito del fatto che la Genesi è maturata in contesto giudaico, raggiungendo la sua redazione definitiva al più tardi nel V sec. a.C., e che la comunità cristiana si è limitata a recepirla e casomai a reinterpretarla[6]. Desta più di qualche sospetto la diversità di trattamento che Brown riserva a cristianesimo ed ebraismo: forse la ragione è una tacita sottomissione alla legge non scritta, ma molto nota, del politically correct che vieta di attaccare gli ebrei per non essere tacciati di antisemitismo? In questo caso si direbbe proprio, con uno studioso americano, che l’anticattolicesimo è l’ultimo pregiudizio accettabile[7]! Ma a proposito di giudaismo, anche quanto a questo non mancano le imprecisioni e i dati abbondantemente romanzati. Ecco un esempio:

Gli studenti ebrei di Langdon rimanevano senza parole quando diceva loro che l’antica tradizione ebraica comprendeva rituali sessuali. “E nel tempio, nientemeno.” Gli antichi ebrei credevano che il sancta sanctorum, nel Tempio di Salomone, ospitasse non solo Dio, ma anche una divinità femminile, potente e uguale a lui, Shekinah. Gli uomini che cercavano la completezza spirituale e si recavano nel tempio per fare visita alle sacerdotesse – o hierodule – con cui si congiungevano e avevano l’esperienza del divino attraverso l’unione fisica. Il tetragramma ebraico yhwh – il nome sacro di Dio – derivava infatti da Yahweh ovvero Geova, androgina unione fisica tra il maschile “Jah” e il nome preebraico di Eva, “Hawah” o “Havah”[8].

Naturalmente però la demonizzazione del sesso ha investito anche le altre religioni, ma solo dopo che la Chiesa diede inizio a questo processo. Dire che quanto viene affermato in quest’ultima citazione è ridicolo è poco! A iniziare dal fatto che le “sacerdotesse” (nella Bibbia nessuno le ha mai viste…) hanno un nome greco (hierodule), e che il nome “protoebraico” di Eva è «“Hawah” o “Havah”», quando “v” e “w” – l’unica differenza fra le due letture proposte – traslitterano la medesima consonante semitica w. Per non parlare della vocalizzazione peregrina di jhwh: basta aprire una qualsiasi grammatica ebraica per apprendere che ignoriamo quali siano le sue vocali proprie e che le vocalizzazioni che si ipotizzano sono basate fondendovi le vocali di ’adōnāj, il termine che si legge nella sinagoga quando sui sacri rotoli si incontrano le consonanti jhwh[9]. Nel Tempio poi abbiamo pratiche di hieros gamos? Ma andiamo! Ecco, per togliere ogni dubbio, un testo del profeta Osea riferito a pratiche, addirittura esterne al Tempio (immaginiamoci cosa avrebbe detto se avesse avuto il minimo sentore che tali cose si praticavano nel cuore del giudaismo…), simili allo hieros gamos, dalle quali Israele era circondato e che si infiltravano soprattutto nel regno del Nord:

Accusate vostra madre, accusatela, / perché essa non è più mia moglie / e io non sono più suo marito! / Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni / e i segni del suo adulterio dal suo petto;

altrimenti la spoglierò tutta nuda / e la renderò come quando nacque / e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, / e la farò morire di sete.

I suoi figli non li amerò, / perché sono figli di prostituzione.

La loro madre si è prostituita, / la loro genitrice si è coperta di vergogna. / Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio lino, / il mio olio e le mie bevande”.

Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine / e ne cingerò il recinto di barriere / e non ritroverà i suoi sentieri.

Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima / perché ero più felice di ora”.

Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio / e le prodigavo l’argento e l’oro / che hanno usato per Baal.

Perciò anch’io tornerò a riprendere / il mio grano, a suo tempo, / il mio vino nuovo nella sua stagione; / ritirerò la lana e il lino / che dovevan coprire le sue nudità.

Scoprirò allora le sue vergogne / agli occhi dei suoi amanti / e nessuno la toglierà dalle mie mani.

Farò cessare tutte le sue gioie, / le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità.

Devasterò le sue viti e i suoi fichi, / di cui essa diceva: / “Ecco il dono che mi han dato i miei amanti”. / La ridurrò a una sterpaglia / e a un pascolo di animali selvatici.

Le farò scontare i giorni dei Baal, / quando bruciava loro i profumi, / si adornava di anelli e di collane / e seguiva i suoi amanti / mentre dimenticava me! / - Oracolo del Signore[10].

Siamo di fronte a un testo dell’VIII secolo a.C., abbastanza precedente a Costantino, per la gioia di Brown! Rimane un ultimo “mito” da sfatare, la presenza di «una divinità femminile, potente e uguale a jhwh, Shekinah». Questa affermazione va contro l’essenza stessa del monoteismo giudaico, che vedeva nel Signore l’unico Dio. Con il termine shekinah si intendeva la “presenza” di Dio in mezzo al popolo, visto che sheken significa “abitazione, domicilio”, shakēn “abitante”, sukkāh, “tenda”, e via dicendo. Poiché la tenda era al tempo dell’Esodo – un tempo che in seguito nella storia di Israele verrà idealizzato abbondantemente – il luogo dell’incontro con Dio, questa radice finì per diventare il termine tecnico indicante la presenza efficace di jhwh in mezzo al popolo, specialmente nel culto presso il Tempio. Ecco svelato il “mistero” di questa presunta divinità femminile giudaica. Ma potremmo anche aggiungere che questo era solo uno dei termini che uno stadio di ebraismo non molto antico aveva individuato per porre delle figure di mediazione fra la trascendenza di jhwh e gli uomini: basti pensare alla “Parola”, dabar, alla “Sapienza”, chokmāh, allo “Spirito”, rûach. Come si vede abbiamo individuato altre tre figure, ma non per questo siamo autorizzati a dare loro consistenza personale tale da costituire un “Olimpo ebraico”! Negare il monoteismo d’Israele è semplicemente negare un’evidenza storica testimoniata da tutti e in tutti i tempi. Dire poi, o far intendere, che la soppressione della “dea” sia stata attuata nel giudaismo per un influsso successivo del Cristianesimo è semplicemente ridicolo: sono stati gli Ebrei, casomai, e più di una volta, ad accusare i cristiani di politeismo per via del dogma trinitario.

Abbiamo dedicato queste righe all’ebraismo non solo per puntualizzare alcune cose circa le affermazioni citate sopra, ma anche nella piena coscienza di un dato che Brown sembra ignorare più di una volta: il Cristianesimo, sebbene con la novità dirompente che Cristo ha portato, si colloca nella scia e nella tradizione della religione Mosaica; in tale contesto Gesù predica, da tale ambiente provengono gli apostoli (…persino Maria Maddalena, se questo può confortare qualcuno), lì nasce la prima Chiesa. Questo retroterra ebraico sembra negato o perlomeno misconosciuto dal Codice Da Vinci, ancor più quando presenta la versione, presunta “pura”, del Cristianesimo precostantiniano. Sono molti invece gli elementi che il Cristianesimo eredita dal Giudaismo, e fra questi vi è senz’altro la presentazione di Dio con attributi “maschili”[11].

In questo frangente tuttavia non è nostro intento scaricare sugli ebrei la “colpa” di una religione apparentemente “maschilista”, ma evidenziare gli elementi per i quali risulta falsa l’affermazione di Brown secondo la quale il Cristianesimo avrebbe estromesso il femminino sacro dalla religione moderna. Vediamo nel proseguo di questo contributo degli esempi di femminino sacro prettamente cristiani: il culto della Beata Vergine Maria, la teologia delle nozze tra Cristo e la Chiesa sua sposa, alcuni segni connessi al sacramento del Battesimo (visto come la nascita a vita nuova), e altri con cui vari antichi Padri descrivono la Chiesa, quali quelli di Madre e Luna.

Il culto della Madonna ha avuto grande rilievo fin dalle origini del cristianesimo, e questa donna ha da sempre attirato le attenzioni dei cristiani. Già nel Nuovo Testamento il suo nome e la sua persona compere in momenti decisivi della vita e del ministero del figlio: la nascita, la presentazione al Tempio, l’inizio della predicazione, la croce; non va poi dimenticata la chiara attestazione dell’importanza della Madre nel nascere della Chiesa apostolica nel cenacolo.

Successivamente la figura di Maria è considerata sempre più in relazione a suo Figlio, e proprio perché il tanto vituperato concilio di Nicea (325) ribadì la fede nella sua divinità, la Madre giunse ad essere definita ai concili di Efeso (431) e Calcedonia (451) theotokos, Dei genetrix, «Madre di Dio», «colei che ha generato Dio»: quale religione ha dato mai questo titolo così sublime a una donna? Si tratta, a dir poco, di una scelta “poco maschilista”! E si badi che stiamo parlando ora del periodo posteriore alla vita di Costantino. È poi interessante vedere, circa il processo di affermazione di tale titolo mariano, ancor’oggi il più importante, il pensiero di un protagonista del concilio di Nicea, Sant’Atanasio:

Gabriele aveva dato l’annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: da te (cf. Lc 1,35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei[12].

Come tutti ben sappiamo il culto della Beata Vergine è andato via via crescendo con lo svilupparsi del Cristianesimo, e sicuramente non si potrà dire il contrario; forse si può solo tralasciare questo fatto, non menzionarlo, come fa Brown, perché è certo che basterebbe ricordarlo per far cadere, o quantomeno far sorgere qualche dubbio, circa il presunto “maschilismo” del cristianesimo.

Un altro tema per il quale il Nuovo Testamento risulta alieno alle accuse mosse nel Codice è quello della “teologia nuziale”, che vede Cristo convolare a nozze con la Chiesa; si badi che questo motivo è posto in relazione con quello mariano da molti Padri, perché come Maria, sposa del Signore, generò Cristo, così la Chiesa, di cui la Madonna è immagine, genera figli a Cristo: e questi figli sono i cristiani, ovvero il corpo stesso di Cristo: in un certo qual modo la Chiesa genera continuamente se stessa[13]. Ma torniamo al Nuovo Testamento. La Lettera agli Efesini ha delle espressioni intense, che sebbene non siano da considerare femministe ante litteram (fanno seguito all’invito alle mogli di stare sottomesse ai mariti[14]), mostrano quanto sia nobile la Donna-Chiesa agli occhi del Salvatore:

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga è alcunché di simile, ma santa e immacolata. (…)

Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa[15]!

Siamo o no in presenza, per usare le parole di Brown, di uno hieros gamos di prim’ordine? E la posizione della donna in questo caso non è forse nobilitata dalla natura divina dello sposo? E pensare che questo è uno dei testi meno lirici che descrivono le nozze mistiche di Cristo! Passiamo, ad esempio, al libro dell’Apocalisse, che identifica la Sposa dell’Agnello con la Città Santa:

Rallegriamoci ed esultiamo,

rendiamo a lui gloria,

perché sono giunte le nozze dell’Agnello;

la sua sposa è pronta,

le hanno dato una veste

di lino puro splendente[16].

Sulla scia di tali affermazioni i Padri – sia prima, sia dopo il concilio di Nicea – interpreteranno un libro dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, come vibrante canto d’amore che Cristo e la Chiesa (o Cristo e l’anima del fedele) si scambiano eternamente:

Nello sposo intendi il Cristo, nella Sposa senza macchia e ruga la Chiesa, della quale è stato scritto: per presentare a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia né ruga o alcunché di simile, ma per essere santa e immacolata[17].

Per avere un’idea del grado di lirismo a cui si può giungere nel cantare queste nozze, basti come esempio questo passo:

Poi [lo Sposo] descrive con amore spirituale la bellezza della Sposa: Le tue guance come di tortora. Loda il suo volto e si infiamma al rossore delle sue guance: è soprattutto nelle guance che appare la bellezza di una donna. Così anche noi intendiamo nelle guance la bellezza dell’anima e celebriamo nelle sue labbra e lingua l’intelligenza.

Il tuo collo è un monile: come l’ornamento che suole pendere dal collo delle vergini e porta il nome di ormískos, così, senza questo gioiello, il tuo collo stesso è un ornamento[18].

Infine consideriamo la presenza di un certo “femminino sacro” nella teologia battesimale cristiana. Partiamo questa volta dal testo dell’iscrizione sul grande battistero della Basilica romana di San Giovanni in Laterano; si tratta di piccolo poema composto da Papa Sisto III nel V secolo (circa cento anni dopo Nicea). Ecco uno degli otto distici:

virgineo fetu genetrix ecclesia natos

quos spirante deo concipit amne parit[19]

Se finora abbiamo visto le nozze fra Cristo e la Chiesa, ora ci spingiamo più avanti: Dio spirante, cioè inviando il suo Spirito, concepisce figli alla Chiesa. Nello Spirito avviene il rapporto fecondo fra i mistici coniugi, e il Battesimo è il momento del parto. Si badi a quanto sia preciso il termine amne, che indica l’acqua del sacro fonte riecheggiando il termine greco amníon, ciò che noi oggi diremmo sacco o liquido amniotico. Non è dunque una forzatura dire che si tratta di “figli legittimi” di quelle nozze di cui si parlava prima. La Chiesa oltre che sposa è dunque madre; e in quanto generatrice viene associata non raramente alla luna. Ma prima di sviluppare queste ultime affermazioni dobbiamo richiamare una problematica sollevata dal Codice, problematica su cui il romanzo è contraddittorio:

I simboli sono molto resistenti, ma il significato del pentacolo è stato alterato dalla Chiesa cattolica romana nei primi secoli. Come parte della sua campagna per eliminare la religione pagana e convertire al cristianesimo le masse, la Chiesa lanciò una campagna denigratoria contro gli dèi e le dee pagani, presentendo come diabolici i loro simboli. (…) Una potenza emergente fa propri i simboli esistenti e li degrada nel tentativo di cancellarne il significato[20].

Le sopravvivenze della religione pagana nella simbologia cristiana sono innegabili. I dischi solari egizi divennero le aureole dei santi cristiani. Le immagini di Iside che allatta il figlio Horus, divinamente concepito, divennero il modello per le immagini della Vergine Maria che allatta Gesù Bambino[21].

Prima il romanzo sembra dipingere una crociata della Chiesa volta a eliminare i simboli pagani, o a denigrarli e degradarli, poi si dice che la simbologia cristiana ha assunto pacificamente e acriticamente elementi pagani: davanti ad affermazioni difficilmente conciliabili (e si noti che in entrambi i casi è lo stesso personaggio, Langdon, a formularle) forse è meglio ricordare che la problematica è più complessa. La presa di distanza da alcuni simboli non aveva certo forme così bellicose quali quelle descritte nella prima citazione; né il passaggio di alcuni altri nell’esperienza cristiana avvenne senza una profonda riflessione tale da segnarne e modificarne radicalmente la comprensione[22]. Prendiamo a titolo di esempio proprio l’immagine della luna[23]. Nel sentire religioso ellenistico Selene era vista come divinità cosmica in relazione a Helios, il sole. Secondo le tre fasi lunari Selene era considerata morente (novilunio), generante (fase crescente), raggiante (luna piena). Nel confrontarsi con questi simboli i Padri colgono l’occasione per riflettere sul mistero di Cristo (il sole) e della Chiesa (la luna). Anche la Chiesa è morente, quando imita il suo Maestro e Signore nel tempo della persecuzione; generante, quando nel battesimo fa nascere i suoi nuovi figli; raggiante, quando la promessa della risurrezione futura si sarà realizzata.

Parlando del Battesimo, e ponendolo in relazione con la simbologia lunare ellenistica, abbiamo diversi casi di riutilizzo cristiano di materiali precedenti. Consideriamo a titolo di esempio un detto attestato da un autore pagano, Porfirio di Tiro, e da Eusebio di Cesarea: : Selene, la luna, è portatrice d’acqua nel novilunio[24]. Gli antichi consideravano il novilunio e la fase della luna crescente ad esso successiva come il tempo migliore per seminare o per intraprendere un lavoro, proprio perché in questo periodo si constatava maggiormente l’influenza della luna sulle acque; e l’acqua, l’umidità, unita al calore, era essenziale per fare germinare un nuovo ciclo vitale. Osserviamo il fenomeno che poco fa si accennava: i cristiani hanno, sì, assunto quest’immagine pagana, ma solo dopo un’attenta riflessione, evitando da una parte il rigetto e dall’altra la mancanza di originalità. Selene entra tra i simboli cristiani come sélas néon, luce nuova[25], e uno dei nomi del Battesimo usati di frequente era quello di “illuminazione”; da qui ad associare la Chiesa/Luna alla generazione/illuminazione dei figli rinati nelle acque del Battesimo il passo è breve. Tuttavia si può notare che il simbolismo pagano ne risulta profondamente ricompresso e trasformato, come in tanti altri casi per i quali rimandiamo alle indicazioni bibliografiche già fornite nelle note: niente a che vedere, comunque, con le banalizzazioni operate da Brown.

In conclusione, dopo aver visto questi elementi altamente “femminili” della religione cristiana, pienamente recepiti nella dottrina cattolica, richiamiamo alla memoria il punto da cui ci eravamo mossi:

Il potere della donna e la sua capacità di dare vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predomino maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro[26].

Abbiamo esaminato proprio “la capacità di dare la vita” della donna e la sua forte sacralità per il nostro credo; alla fine della disamina possiamo renderci conto che quanto meno non si possono fare affermazioni assolute come quella qui sopra e quest’altra, ancor più lapidaria:

La Chiesa ha eliminato il femminino sacro dalla religione moderna[27].

“Eliminato”? Forse è proprio la Chiesa, la Madre Chiesa, ad averlo conservato e nobilitato.



[1] D. Brown, The Da Vinci Code, trad. it. R. Valla, Il Codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003.

[2] Ib., p. 63.

[3] Ib.

[4] Cf. ib., p. 149.

[5] Ib., pp. 279-280. Corsivo nel testo.

[6] Bisogna anche dire che il racconto della Genesi, che attribuisce una grande responsabilità alla donna per l’introduzione del peccato nel mondo non è isolato; l’ambiente greco, tanto apprezzato da Brown per la grande importanza che esso tributa alla “dea”, a Venere, al femminino, conosce il mito di Pandora, che riversa su una donna tutta la responsabilità del male del mondo.

[7] Cf. P. Jenkins, The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, New York 2003.

[8] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 364.

[9] G. Deiana - A. Spreafico, Guida allo studio dell’ebraico biblico, UUP - SBBF, Roma 19973, p. 20.

[10] Os 2, 4-15.

[11] Si pensi ad esempio che il titolo divino di Padre, pur essendo una peculiarità del cristianesimo, non è estraneo alla pietà giudaica: cf. Sal 103,13; Mal 2,10; più esplicitamente 1Cr 29,10; Is 63,16; 64,7.

[12] Atanasio, Ad Epiteto, 5-9: PG 26, 1058. 1062-1066. Corsivi miei. Benché il testo oggi comunemente accettato di Lc 1,35 dica semplicemente «Colui che nascerà sarà dunque santo…», Atanasio utilizzava una versione, attestata in importanti codici, che legge «Colui che nascerà da te sarà dunque santo…».

[13] Cf. Beda, Explanatio Apocalypsis, 2,12: «Benché il serpente le sia avverso, la Chiesa genera continuamente Cristo; infatti la Chiesa genera quotidianamente se stessa in quanto Chiesa».

[14] In realtà il testo greco suona un po’ più delicato della traduzione CEI 1971, letteralmente: «Siate sottomessi a vicenda nel timore di Cristo: le mogli ai propri mariti come al Signore, perché il marito è capo della moglie come anche Cristo è capo della Chiesa, Lui, il salvatore del corpo; ma come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli ai mariti in tutto» (Ef 5,21-24. Traduzione mia)

[15] Ef 5,25-27.31-32.

[16] Ap 19,7-8.

[17] Origene, Omelie sul Cantico dei Cantici, I, 1.

[18] Ib., I, 10.

[19] Con parto verginale la madre Chiesa partorisce nell’acqua i figli che Dio concepì emettendo lo Spirito.

[20] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., p. 52.

[21] Ib., pp. 272-273.

[22] Due studi molto utili per conoscere questa problematica sono i seguenti: H. Rahner, Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani, tr. it. A. Paredi, Morcelliana, Brescia 1952; Id., Miti greci nell’interpretazione cristiana, tr. it. L. Tosti, Il Mulino, Bologna 1971.

[23] Un lungo e prezioso ragguaglio su questo tema si trova, oltre che nell’ultima opera citata, in Id., Simboli della Chiesa. L’ecclesiologia dei Padri, tr. it. L. Pusci – A. Pompei, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995. In quest’ultima parte del lavoro ci rifacciamo spesso a questo testo.

[24] Porfirio di Tiro, Perí agalmáton, 10; Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica, III, 12, 2.

[25] È questa la comune etimologia di Selene attestata, tra gli altri, in Platone, Cratilo, 409b 12.

[26] D. Brown, Il Codice Da Vinci, cit., pp. 279-280.

[27] Ib., p. 63.

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