martedì 18 maggio 2010

Diocesi di Alghero - Bosa: Incontro di aggiornamento per gli insegnanti di religione

L'incontro che si terrà domani a Montagnese consisterà in buona parte nell'informare gli insegnanti sul recente Convegno Nazionale dei Direttori e Responsabili Irc (“L’Irc laboratorio di cultura e di umanità: il contributo degli Uffici Diocesani”), tenutosi a Torino dal 12 al 14 aprile scorso.
Il materiale completo (o quasi...) è reperibile qui:

venerdì 9 aprile 2010

Chiesa e pedofilia: come buttare a mare elementari nozioni di giornalismo

Giorni convulsi:
Il New York Times attacca il Papa dicendo che avrebbe insabbiato un caso.
Peccato che il tutto si basi su una notizia data senza accurata verifica delle fonti originali.
Su questo:
http://www.paolorodari.com/2010/04/06/quello-che-il-nyt-non-traduce-sorpresa-il-vaticano-non-insabbio-su-murphy-tutta-colpa-del-computer/
e ancora:
http://www.paolorodari.com/2010/04/06/quante-sono-le-balle-del-nyt/
e più dettagliatamente:
http://idlespeculations-terryprest.blogspot.com/2010/04/should-we-blame-yahoo.html

Non contenti di avere buttato a mare l'accuratezza, elemento che dovrebbe essere fondamentale per un buon giornalista, ecco che ora pretendono di spacciare per "notizie fresche" casi che il Santo Padre e la Santa Sede ha già risolto da mesi.
due giorni fa una "notizia" di un caso risolto nel MAGGIO - GIUGNO 2009
ecco la "notizia" ... ed ecco i provvedimenti (come ricordato da Padre Lombardi);
oggi la "notizia" ci informa di un caso risolto nel SETTEMBRE 2009
ecco la "notizia" ed ecco i provvedimenti

e questi sarebbero giornalisti?

mercoledì 24 marzo 2010

Twitter

Da qualche giorno sono anche su twitter, qui:
http://twitter.com/sannasedon

sabato 13 febbraio 2010

Ottimo Camisasca su Avvenire di ieri

IDEE
Il sacerdote del 2000? Deve studiare di più

Studiano i preti? Nella mia abbastanza lunga vita sacerdotale, non ho incontrato molti fratelli che riservassero allo studio un tempo adeguato. Eppure lo studio è una necessità che nasce dal silenzio, di cui è come una prosecuzione. Perché studiare quando non ci sono più esami da dare, traguardi da raggiungere, quando premono attività e necessità, quando le persone esigono da noi il nostro tempo? Non è forse lo studio un’assenza di carità, che ci sottrae alle ferite urgenti delle persone? La risposta non può che essere negativa. Senza prolungare il silenzio nello studio, a poco a poco si inaridisce in noi la consapevolezza di ciò che ci è accaduto.

Contrariamente a quanto molti credono, persino nelle origini francescane, quando alcuni frati contrapponevano allo studio umiltà e povertà, veniva risposto autorevolmente che senza lo studio non ci si può cibare della Parola di Dio, e quindi non si può vivere la vita religiosa. Le parole si faranno ripetitive ed aride, e infine diventeremo dei preti insignificanti. Se vogliamo conoscere Dio e noi stessi, dobbiamo anche studiare. Lo studio è un lavoro che ci permette di penetrare nella nostra vita, di assimilare quella scienza di Cristo e quella scienza dell’uomo che costituiscono il livello per noi più alto e più interessante della conoscenza.

Jean Leclercq, grande studioso di san Bernardo, ha scritto un libro in cui riassume tutta la sapienza monastica fatta di studio e di preghiera, oltre che di lavoro manuale, e lo ha significativamente intitolato: L’amour des lettres et le désir de Dieu. Lo studio non parte dal nulla, ma da qualcosa che ci è accaduto. Per noi sacerdoti, lo studio è un approfondimento della fede. Ricordiamo la formula usata da sant’Anselmo, che in realtà riprende tutta la tradizione agostiniana: «Fides quaerens intellectum».

Non dobbiamo pensare che mettere la fede all’origine dello studio immiserisca o rattrappisca la nostra ricerca razionale. La fede non è un bagaglio di nozioni, è innanzitutto un incontro, l’incontro con colui che è «il centro del cosmo e della storia». Lo studio è dunque un rapporto con cose e persone che non abbiamo ancora conosciuto o abbiamo conosciuto male. Con il presente, con il passato, con le grandi voci della storia, con coloro che possono farci crescere. «Siamo come nani sulle spalle di giganti», e quindi possiamo vedere più lontano di coloro che ci hanno preceduto. È la straordinaria espressione di Giovanni di Salisbury.

Lo studio implica una lunga e paziente stratificazione di conoscenze, e anche alcune scelte a riguardo delle priorità delle proprie occupazioni. Dobbiamo rivolgerci a libri che ci aiutino ad una familiarità con la Sacra Scrittura, che ci diano il gusto della storia di Dio, alle opere di studiosi che, senza essere chiusi alle ricerche più recenti, siano attenti alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa. Voglio soffermarmi sull’importanza della lettura dei classici.

Penso a Omero, Virgilio, Cicerone, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso…, fino ai tempi a noi più vicini. I classici sono gli scrittori attuali in ogni epoca della storia, che hanno saputo essere maestri di ogni tempo. Proprio grazie alla loro capacità di cogliere ciò che è veramente essenziale alla vita di ogni uomo, essi non si arrestano alla superficie dell’essere, ma sanno introdurci nel cuore pulsante della vita e dell’umanità di Dio. Tra i classici, occupano un posto di particolare importanza i Padri della Chiesa. Essi ci accompagnano in quella visione unitaria della Scrittura che oggi si è decisamente persa. Più si va avanti negli anni, più la storia della Chiesa si arricchisce di nuovi volti e protagonisti, più ci si rende conto che il loro insegnamento rimane insostituibile.

In vista dell’omelia domenicale, occorrono una preparazione lontana e una vicina. Quella lontana è lo studio, la meditazione che non si interrompe mai lungo l’arco degli anni. Quella vicina si compie prendendo in considerazione i testi specifici della liturgia di quel giorno e domandandoci che cosa essi ci vogliano comunicare.

San Paolo dice che la fede nasce dall’ascolto (Rm 10,17), cioè dalla meditazione. Mentre i Greci privilegiavano il vedere, la tradizione giudaico-cristiana privilegia l’ascolto. È l’udire il fondamentale rapporto tra maestro, testimone e discepolo. Per parlare agli uomini, Dio si è fatto uomo, ha scelto la strada del rapporto personale, ha deciso di parlare cuore a cuore, di diventare realtà sperimentabile per gli uomini di ogni tempo. Poiché la fede è un avvenimento, non è mai possibile evitare questa dinamica. Preparare l’omelia vuol dire, innanzitutto, chiedersi: qual è l’esperienza che voglio trasmettere?

Nella sua Lettera settima, Platone sosteneva che le cose importanti devono essere affidate al dialogo orale. E Søren Kierkegaard, ne La scuola di cristianesimo, ha detto che esso non può vivere se non come provocazione di un Principio che arriva al presente attraverso l’esistenza di un vicino. Cicerone non avrebbe avuto su sant’Agostino e san Bernardo l’influenza che ebbe, se non fosse stato conosciuto innanzitutto come maestro di retorica.

E Agostino si convertì ascoltando le omelie di Ambrogio. La comunicazione diretta fu l’arma di san Domenico, che fondò addirittura l’ordine dei predicatori, e di san Francesco, che andò di persona a parlare al sultano. Anche l’età moderna è stata segnata dalla predicazione: che cosa sarebbe stato il cristianesimo fra il Quattrocento e il Seicento senza Savonarola, Bernardino da Siena, Francesco Saverio e Bossuet? Tutti siamo ancora impressionati dalla capacità comunicativa di Giovanni Paolo II e di don Giussani.

Non dimentichiamo che ex abundantia cordis os loquitur (Mt 12,34): la parola rivela quello che c’è o non c’è dentro di noi. Non si può comunicare se non per una sovrabbondanza di esperienza. Essa determinerà il tono delle mie parole, i gesti che le accompagneranno, l’ordine dell’esposizione. Prima di parlare occorre scegliere cosa dire, cosa privilegiare. Avere chiaro qual è il punto centrale che deve passare da me ai miei ascoltatori. Questo implica anche decidere cosa non dire o cosa comunicare in un’altra occasione. Non tutto infatti può e deve essere detto: un’omelia non è una lezione di scuola. Bisogna imparare a non dire, per dare rilievo a ciò che si dice.

Concretamente, suggerisco di annunciare il tema all’inizio, per esempio sottolineando una frase del testo che si vuole commentare. Svilupparlo poi con degli esempi. È molto importante l’enfasi su frasi e parole che possano essere ricordate. Infine, una conclusione: un riassunto oppure una domanda, un rinvio ad altro per far proseguire la riflessione. C’è una sola strada per imparare a comunicare: cominciare ad ascoltare, ascoltare chi ci colpisce. E poi correre il rischio di esprimere ciò che si è incontrato e urge dentro di noi perché vuole essere comunicato.

Massimo Camisasca

http://www.avvenire.it/Chiesa/Il+sacerdote+del+2000+Deve+studiare+di+pi_201002120905408800000.htm

mercoledì 30 dicembre 2009

Omelia del Cardinal Antonio Maria Rouco Varela nella Festa della Sacra Famiglia.
Madrid, Plaza de Lima 27 dicembre 2009 - traduzione in italiano

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore:

ancora una volta una piazza di Madrid, la Piazza di Lima, ci offre una bella cornice per celebrare la Festa della Sacra Famiglia pubblicamente davanti alla società e al mondo come una "Messa delle famiglie": delle famiglie di Madrid e di tutta la Spagna. Così è avvenuto lo scorso anno. Oggi, per di più, come un'Eucaristia delle famiglie di tutta Europa. Mi è molto grato, per questo, salutare con affetto fraterno nel Signore i Signori Cardinali, Arcivescovi e Vescovi delle Diocesi di Spagna, ma specialmente i fratelli venuti da Roma e da diversi Paesi europei. In modo particolare vorrei salutare il Signor Cardinal Prefetto del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che sottolinea con la sua presenza il valore pastorale che il Santo Padre e i suoi collaboratori più stretti attribuiscono alla nostra iniziativa a favore della famiglia. Il messaggio luminoso e sempre puntuale del Papa Benedetto XVI non ci è mancato neppure in questa occasione in cui l'Eucaristia delle famiglie cristiane di Spagna si apre alle chiese particolari d'Europa. Il mio saluto molto cordiale si dirige anche agli innumerevoli fratelli sacerdoti spagnoli ed europei, sempre vicini alle famiglie che essi accudiscono e servono con premuroso zelo e carità pastorale. Il nostro saluto più affettuoso si dirige senza dubbio alle innumerevoli famiglie - nonni, genitori, figli, fratelli... - che si sono sacrificati per venire a Madrid e poter celebrare in questa fredda mattina madrilena, uniti in una straordinaria assemblea liturgica con i fedeli della nostra diocesi, la Azione di Grazie eucaristica con gioia esultante per l'immenso dono della famiglia cristiana: famiglia che si specchia nella Sacra Famiglia di Nazaret come modello insuperabile e decisivo per poter vivere in pienezza la ricchezza della grazia del matrimonio cristiano nella quotidiana crescita e occupazioni della propria famiglia. La famiglia cristiana sa, inoltre, che in Gesù, Maria e Giuseppe trova l'appoggio soprannaturale necessario preparatole amorosamente da Dio per non venir meno nella realizzazione della sua bella vocazione.

La vostra numerosa presenza, care famiglie, e la vostra partecipazione attenta, pia e attiva in questa celebrazione eucaristica esprime un messaggio chiaro ed eloquente: amate le vostre famiglie! Amate la famiglia! Mantenete fresca e forte la fede nella famiglia cristiana! State sicure, condividendo la dottrina della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, che il modello della famiglia cristiana è quello che risponde fedelmente alla volontà di Dio e , per questo, è ciò che garantisce il bene fondamentale e insostituibile della famiglia per i suoi propri membri - in primis genitori e figli - , per tutta la società e, non ultimo, per la Chiesa. La Chiesa è, in definitiva, "edificio di Dio", "in cui abita la sua famiglia", come insegna il Vaticano II, e in essa la famiglia è "Chiesa domestica" (LG 6 e 11). Care famiglie cristiane: siate molto coscienti, anche in virtù delle vostre esperienze della vita nel matrimonio e nella vostra famiglia, che quell'altro linguaggio dei diversi modelli di famiglia, che sembra impossessarsi, in modo schiacciante e senza alcuna replica, della mentalità e della cultura del nostro tempo, non risponde alla verità naturale della famiglia, come essa viene data all'uomo "dal principio" della creazione e che perciò è incapace di risolvere la problematica tante volte crudele e dolorosa dei fallimenti materiali, morali e spirituali che oggi affliggono l'uomo e la società europea del nostro tempo con una gravità raramente conosciuta dalla storia. Care famiglie: giacché volete vivere la vostra famiglia in tutta la verità ,la bontà e la bellezza che le viene data dal piano salvatore di Dio, siete qui come protagonisti del nuovo Popolo e della nuova Famiglia di Dio, che peregrina in questo mondo verso la Casa e la Gloria del Padre, celebrando con la Chiesa il Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, culmine e fonte di tutta la vita cristiana - e di conseguenza della vera vita della vostra famiglia - come una Festa, illuminata dalla memoria, fatta attuale, della Sacra Famiglia di Nazaret.

Con la Sacra Famiglia, formata da Gesù, Maria e Giuseppe, inizia il capitolo della nuova e definitiva storia della famiglia: il capitolo della famiglia che, fondata dal Creatore nel vero matrimonio tra l'uomo e la donna, resterà libera dalla schiavitù del peccato e trasformata dalla grazia del Redentore. Accostiamoci dunque con lo sguardo della fede, illuminata dalla Parola di Dio, alla realtà di questa famiglia, sacra e cara allo stesso tempo, che apre alle nostre famiglie il tempo nuovo dell'amore e della vita senza tramonto. Richiama l'attenzione che dal primo momento della sua preparazione e costituzione che ciò che guida e muove Maria e Giuseppe a sposarsi e accogliere tra loro il Figlio Gesù è il compimento della volontà di Dio senza condizioni, sebbene, umanamente parlando, comprenderla sia gravoso per loro. Maria dice sì alla maternità di suo Figlio, che era niente meno che il Figlio dell'Altissimo. Lo concepisce per opera dello Spirito Santo, essendo Vergine e rimanendo Vergine. Giuseppe accetta di accogliere Maria nella sua casa come sposa, castamente, sapendo che il Figlio che lei porta in grembo non è suo, ma è di Dio! Si abbandonano alla sua santissima volontà sapendo di rispondere così ai disegni imperscrutabili, ma certi, dell'amore di un Dio che vuole salvare l'uomo per sentieri che li sorpassano per la grandezza infinita della misericordia che rivelano. Sono sempre più coscienti che a loro è stata affidata la vita e la morte terrena di un bambino che è il Figlio di Dio, il Messia, il Signore. Sì, soprattutto lo sa sua madre Maria che lo accompagna, a volte distante fisicamente, ma sempre con una ineffabile vicinanza del cuore, fino al momento della croce: l'ora della totale espropriazione totale del Figlio e della Madre in funzione dell'Amore più grande! Nella scena raccontataci oggi dal vangelo di San Luca, di Gesù adolescente perduto e ritrovato dai suoi genitori nel Tempio di Gerusalemme, si confermava e si profilava fino a che punto di consegna e offerta della vita portava l'accettazione amorosa della volontà del Padre: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo stare nella casa del Padre mio?" E, sebbene essi non comprendessero del tutto ciò che si voleva dir loro, la loro precedente angustia restò compensata in modo commovente dal Figlio: Gesù tornò con loro a Nazaret e, sotto la loro autorità, "cresceva in sapienza, statura e grazia davanti a Dio e agli uomini". E "sua madre conservava tutto questo nel suo cuore". Di quell'amore di Maria e Giuseppe, amore di totale consegna a Dio e perciò di una fecondità umanamente inimmaginabile, soprannaturale, sorge la famiglia nella quale nasce, cresce e vive il Salvatore dell'uomo, l'Autore della Nuova Vita, il Capo del Nuovo Popolo di Dio, il Primo di una incalcolabile moltitudine di fratelli, che avrebbe dovuto configurare la nuova famiglia umana.

Care famiglie cristiane di Spagna e di tutta Europa: considerate voi stesse come spose e sposi, genitori e figli, nel limpido specchio di quel prototipo della nuova famiglia amata e disposta da Dio nel suo piano di salvezza dell'uomo, che è la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Non è forse vero che anche voi potete attestare che - quando tutto questo edificio di intime relazioni personali tra voi e con i vostri figli si fonda nell'esperienza fedele e sempre rinnovata del vostro impegno contratto sacramentalmente in Cristo, davanti a Dio e alla Chiesa - vi è possibile e anche semplice e gratificante configurare la vostra famiglia come quella intima comunità di vita e di amore dove si va aprendo di giorno in giorno, "di croce in croce", il cammino della vera felicità? Quindi vi sentite "come eletti di Dio, santi e amati", per rivestirvi "della tenera misericordia, di bontà, umiltà, dolcezza, comprensione". Sapete chiedere perdono e perdonate. Sapete sopportarvi e vi santificate vicendevolmente? Mettete al di sopra di tutto "l'amore" che "è il vincolo dell'unità perfetta"? In chi e dove i bambini che nasceranno, gli invalidi, gli infermi, i rifiutati, etc., potranno trovare il dono della vita e dell'amore incondizionato se non in voi, padri e madri delle famiglie cristiane? Dinanzi alle situazioni drammatiche dei disoccupati, degli anziani, di coloro che sono nell'angustia per la solitudine fisica e spirituale, di coloro che sono affranti per le delusioni e i fallimenti sentimentali, matrimoniali e familiari, c'è qualcuno che risponda meglio e più efficacemente della famiglia vera, fondata nella legge di Dio e nell'amore di Gesù Cristo?

In questa Piazza di Lima di Madrid, il giorno 2 novembre 1982, l'indimenticabile Giovanni Paolo II, dichiarato venerabile lo scorso 19 dicembre dal nostro Santo Padre Benedetto XVI, celebrava un'Eucaristia memorabile, convocata come "Messa per le famiglie" nel terzo giorno del suo lungo viaggio per tutta l'estensione delle Diocesi di Spagna - viaggio apostolico indimenticabile! Nella sua vibrante omelia si trova un passaggio, la cui vigorosa forza profetica non ha perso nulla in attualità. Permettetemi che lo ricordi:

«Inoltre, secondo il piano di Dio, - affermava il Papa - il matrimonio è una comunità di amore indissolubile ordinato alla vita come continuazione e completamento degli stessi coniugi. Esiste una relazione inscindibile fra l’amore coniugale e la trasmissione della vita, in virtù della quale, come insegnò Paolo VI: “Ogni atto coniugale deve rimaner aperto alla trasmissione della vita”. Invece - come ho scritto nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio - “al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale degli sposi, la contraccezione oppone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, cioè, quello del non donarsi all’altro totalmente: ne deriva non solo il positivo rifiuto dell’apertura alla vita, ma anche una falsificazione della verità interiore dell’amore coniugale”. Ma c’è un altro aspetto, ancora più grave e fondamentale, che si riferisce all’amore coniugale come fonte della vita: parlo del rispetto assoluto per la vita umana, che nessuna persona o istituzione, privata o pubblica, può ignorare. Per questo, chi negasse la difesa alla persona umana più innocente e debole, alla persona umana già concepita anche se non ancora nata, commetterebbe una gravissima violazione dell’ordine morale. Mai si può legittimare la morte di un innocente. Risulterebbe minato il fondamento medesimo della società. »

Benedetto XVI ci insegna oggi, nel mezzo di una crisi socio-economica generalizzata, un quarto di secolo dopo dell'omelia della Piazza di Lima, nella sua Enciclica Caritas in Veritate:

«L'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. (...) Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona. In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l'integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società».

Il panorama che presenta la realtà della famiglia nell'Europa contemporanea non è precisamente lusinghiero. La preoccupante diagnosi dello stato di salute della famiglia europea, che faceva nell'ottobre 1999 l'Assemblea Speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi e che dopo Giovanni Paolo II raccoglieva, dettagliava e confermava nell'Esortazione Post-sinodale "Ecclesia in Europa", è andato aggravandosi sempre più. La condizione attuale del matrimonio e della famiglia nei paesi europei è contrassegnata dalla facilitazione giuridica del divorzio fino a estremi impensabili fino a poco tempo fa e assimilabili al ripudio; dall'accettazione crescente dell'attenuazione, quando non dell'eliminazione, prima culturale e poi legale, della considerazione del matrimonio come unione irrevocabile di un uomo e una donna in intima comunione di amore e di vita, aperta alla procreazione dei figli, per la crescita apparentemente inarrestabile delle rotture matrimoniali e familiari con le conosciute e drammatiche conseguenze che portano per il futuro e il bene dei bambini e dei giovani. A questa situazione si è aggiunta la crisi economica, con l'inevitabile sequela di sottoccupazione e disoccupazione come fattore ulteriore alla situazione già molto estesa della crisi del matrimonio e della famiglia. Il diritto alla vita del bambino, ancora nel grembo di sua madre - del nasciturus -, si vede purtroppo soppiantato nella coscienza morale di un sttore ogni volta più importante della società, e nella legislazione che l'accompagna e la stimola, da un supposto diritto all'aborto nei primi mesi della gravidanza. La vita delle persone con varie invalidità, dei malati terminali e degli anziani, senza un ambiente familiare che li sostenga, si vede ogni volta più in pericolo. Un panorama a prima vista buio e desolato. Solo a prima vista. All'orizzonte brillano i segni luminosi della speranza cristiana: Voi siete qui, care famiglie cristiane di Spagna e di tutta Europa, per dare testimonianza di questa speranza e corroborarla! Con il sì gioioso al vostro matrimonio e alla vostra famiglia, sentita ed edificata cristianamente come rappresentazione viva dell'amore di Dio - amore di offerta e consegna, donato e fecondo anche nella vostra carne - ; e con il vostro sì al matrimonio e alla famiglia come "santuario della vita" e fondamento della società, state aprendo di nuovo il solco per il vero progresso dell'Europa del presente e del futuro. L'Europa, senza di voi, care famiglie cristiane, rimarrebbe praticamente senza figli oppure - che è lo stesso - senza il futuro della vita. Senza di voi, l'Europa rimarrebbe senza il futuro dell'amore, conosciuto ed esercitato gratuitamente; rimarrebbe senza la ricchezza dell'esperienza dell'essere amato per ciò che si è e non per ciò che si possiede. Il futuro dell'Europa, il suo futuro morale, spirituale e anche biologico, passa per la famiglia realizzata nella sua primordiale e piena verità. Il futuro dell'Europa passa attraverso di voi, care famiglie cristiane!

Avete ricevuto il grande dono di poter vivere il vostro matrimonio e la vostra famiglia cristianamente, seguendo il modello della Famiglia di Nazaret e , con il dono, una grande e bella opera: quella di essere testimoni fedeli e coraggiosi, con azioni e parole, del Vangelo della vita e della famiglia in una grave congiuntura storica dei popoli d'Europa, legati tra loro dalla comune eredità delle proprie radici cristiane. Unite nella comunione della Chiesa, incoraggiate e fortificate dalla Santa Famiglia di Nazaret, da Gesù, Maria e Giuseppe, la potrete portare a buono e felice esito. Sì, con la gioia esultante di coloro che hanno scoperto e conoscono che in Betlemme di Giudea, duemila anni fa, ci è nato da Maria, la Vergine e Giovane di Nazaret, il Messia, il Signore, il Salvatore, potrete farlo!

Amen.

mercoledì 23 dicembre 2009

IL FOGLIO intervista Kiko Argüello



Il Foglio 23 dicembre 2009, prima pagina


Dies Familiae a Madrid

"Il futuro dell'Europa è nella famiglia e la chiesa deve dirlo forte"
Kiko Argüello, fondatore del Cammino neocatecumenale, ci spiega la festa del 27 dicembre per "aprirsi alla vita"

"Orfani di troppi genitori"



Roma. "Il futuro dell'umanità passa per la famiglia": un profetico Giovanni Paolo II così scandiva da Plaza de Lima, a Madrid, durante il suo primo viaggio in Spagna, nel 1982. "Il futuro dell'Europa passa per la famiglia": così ripete il volantino con cui il Cammino neocatecumenale invita alla Festa della Sacra Famiglia di Nazaret, il prossimo 27 dicembre a Madrid, Plaza de Lima. Il raduno delle famiglie cristiane è giunto, in Spagna, alla terza edizione. Diversamente dagli anni passati, questa volta, dopo l'abituale collegamento con San Pietro per l'Angelus del Papa che si rivolgerà in diretta ai partecipanti, ci sarà un'eucarestia. Kiko Argüello, iniziatore con Carmen Hernandez del Cammino neocatecumenale, ha promosso una presenza massiccia delle famiglie del Cammino di tutta Europa: più di diecimila solo quelle italiane in partenza per la capitale spagnola. Abbiamo chiesto ad Argüello perché vale la pena di fare uno sforzo così massiccio. Perché, spiega, "è necessario un tasso di natalità del 2,11 per famiglia per mantenere una cultura, altrimenti quella cultura si estingue. In Spagna nascono 1,1 figli a famiglia; in Italia 1,2; in Francia 1,8. L'unica risposta a questa situazione in Europa è la famiglia cristiana. Rivolgendosi ai vescovi brasiliani. Benedetto XVI ha affermato che 'la chiesa non può restare indifferente di fronte alla separazione dei coniugi e al divorzio, di fronte alla rovina delle famiglie e alle conseguenze che il divorzio provoca sui figli'. La chiesa non può tacere". Si dice però che, in alcune nazioni, più della metà di coloro che vanno in chiesa sono divorziati e che si deve essere misericordiosi nei loro confronti. Ma ammettere alla comunione i divorziati, pensa Kiko, equivale a sostituire "la famiglia cristiana, la nostra famiglia, con un altro tipo di famiglia. Tacere che le cose stiano così, tacere che il matrimonio cristiano è indissolubile per espressa volontà di Cristo, significa commettere un peccato di omissione. E questo è un peccato che molti nella chiesa di oggi hanno commesso e commettono. Relegare l'uso della sessualità al foro interno, praticare una sessualità diversa da quella esplicitamente voluta dalla Bibbia e ricordata da Paolo VI nell'Humanae vitae, ha indebolito il matrimonio cristiano, moltiplicando separazioni e divorzi". Argüello aggiunge che "l'eucarestia del 27 a Plaza de Lima vuole svegliare i cattolici; vuole svegliare la chiesa: le famiglie cattoliche devono aprirsi alla vita. Il problema è che l'antropologia biblica è stata sostituita con l'antropologia laicista. Il laicismo europeo ha le sue radici nell'Illuminismo francese, che ha negato l'anima: non c'è anima nell'uomo; non c'è spirito. Ma questo non è vero! Molta gente soffre e non sa perché. Soffre perché l'anima è morta, sepolta dai peccati, dagli aborti, dalla droga, da cose orribili". Per questo "i cristiani devono tornare a evangelizzare. Cristo ha vinto la morte e il suo Spirito Santo ci da la possibilità di amarci come lui ci ha amato: questo fa presente la famiglia cristiana".

Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI

II 13 maggio di quest'anno, il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e famiglia ha conferito a Kiko Argüello il dottorato honoris causa in Sacra teologia. Nella Laudatio accademica, il professor José Noriega così motivava: "L'accoglienza senza riserve dell'enciclica profetica Humanae vitae da parte delle famiglie del Cammino è stata un'autentica testimonianza per l'intera chiesa, mostrando che, al di là delle nostre paure o delle nostre difficoltà, è possibile vivere quanto la Chiesa segnala come specifico del cammino di santità della coppia se c'è una comunità viva che ci accompagna". La comunità, sottolinea Argüello, "salva la famiglia. La famiglia, a sua volta, salva la chiesa. È possibile vivere il matrimonio indissolubile. È possibile vivere la sessualità aperta alla vita, come dice la Bibbia e il magistero ricorda. Non solo è possibile ma è bellissimo". E torna a citare il discorso del Papa: "Con la cosiddetta famiglia allargata e mutevole, che moltiplica i 'padri' e le 'madri' e fa sì che oggi la maggior parte di coloro che si sentono orfani non siano figli senza genitori, ma figli che ne hanno troppi", si compromette la stessa possibilità di educazione dei figli. L'appuntamento del 27 dicembre, a Madrid, ha il compito di testimoniare tutto questo nel cuore dell'Europa laicista e postmoderna.